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Mentre l’Italia ristagna nel ‘grande fratello’, il mondo rincorre la digitalizzazione

Già nel 2011, ben oltre l’ottantesima posizione mondiale per tasso di disoccupazione, che vede oggi raggiungere la soglia del 13%, con quello giovanile al 42,3%. Sessantanovesima posizione nella classifica di percezione della corruzione nel settore pubblico, dietro Montenegro, Macedonia, Giordania, Arabia Saudita, Cuba, Slovacchia, Ghana e Ruanda. Ventiquattresima piazza nella classifica dello sviluppo umano e ventunesima in quella relativa alla qualità della vita. E potremmo proseguire! Questa è l’Italia in cifre. Dati freddi, ma che, contestualmente, riflettono la grave crisi sociale, oltre che economica, attualmente vissuta dal Bel Paese. Una crisi persistente, per determinati aspetti forse quasi perenne, che, se dapprima lasciava emergere sporadiche situazioni di disagio ed emarginazione, oggi più che mai palesa l’annientamento di intere classi generazionali. Per farsi un’idea più chiara, stando alle rilevazioni fornite dall’Annuario statistico dell’ISTAT, nell’anno 2012, nella fascia compresa tra i 25 ed i 30 anni, lo stato di disoccupazione ha interessato il 16,3% dei diplomati, a fronte del 19% dei laureati; e se solo si valutasse, altresì, la posizione precaria dei tanti dottori in transizione, dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro professionistico, chissà a quanto potrebbe ergersi quest’ultima percentuale. In altre parole, nemmeno il titolo di studio, il più elevato tra essi, ripaga degli enormi sacrifici profusi, ed è spiacevole ammetterlo, a maggior ragione se si pone la riflessione sulle premesse illustrate ai più giovani.

Fatto sta che, potrebbero consumarsi pagine ed inchiostro a volontà, elucubrando su congiunture trascorse e relative politiche adottate, ma il dato incontrovertibile è univoco: l’Italia è un Paese vecchio, linfa per un cinquantennio di generazioni, costruito a misura anche per i meno meritevoli, concentrico rispetto ad esigui gruppi di potere; un sistema ormai corroso fino al midollo e che, ciononostante, pretende di preservare lo status quo. Cosicché, ci siamo ritrovati tutti catapultati nella fratricida guerra tra potenti e deboli, corrotti ed onesti, vecchi e giovani… nonni contro padri, entrambi contro figli. Come se questa fosse la panacea degli innumerevoli problemi! Che fare? Di certo, sebbene al cospetto di un’epoca digitalizzata, non sarà un “reset”, ovvero uno “stop and go”, a rielaborare e ricostruire le basi del futuro. Anche perché sembra che, di essa digitalizzazione, abbiamo recepito solo il peggio: viviamo il mito della cultura per tutti, ma sediamo ai banchi di scuola semplicemente per il “pezzo di carta”, godiamo dell’informazione globalizzata, ma fruiamo della televisione del “Grande Fratello”, abbiamo desiderato l’informatica universale e siamo stati premiati finanche con i social network, epperò li utilizziamo per scopi distorti. Tant’è che, ci ritroviamo ad occupare il ventiquattresimo posto della classifica destinata al grado di istruzione, con Finlandia, Corea del Sud ed Honk Kong quasi irraggiungibili ed ampiamente sopravanzati da Gran Bretagna, Olanda, Germania ed USA; piccola soddisfazione, un gradino innanzi rispetto ai “cugini” francesi.

Vogliamo continuare a gioire dei piccoli sfizi? Davvero desideriamo proseguire all’insegna del Bel Paese stereotipato? Eppure, in particolare nell’ultimo ventennio, la scuola italiana è stata oggetto di svariate riforme: si è passati dalla scuola elementare alla scuola primaria, così come si è archiviata l’esperienza delle scuole medie, in favore della scuola secondaria di primo grado, ma le materie predominanti sono sempre le stesse, a scapito di quelle maggiormente qualificanti. Per esempio, quanto alla scuola secondaria di primo grado (già scuole medie), tra le materie di italiano, approfondimento in discipline letterarie, storia e geografia, seconda lingua comunitaria, arte ed immagine, musica nonché scienze motorie e sportive, sono impiegate ben 18 ore su 30 settimanali in discipline tutt’altro che qualificanti, dedicando soltanto due ore alla “tecnologia”, ossia lo stesso tempo impiegato per arte ed immagine, ovvero musica; ciò detto, con tutto il rispetto per queste ultime, che pure meriterebbero di essere destinate a settori meno generalisti, non propinati alla massa. Cosicché, se da un lato l’odierna società globalizzata acclama la maggiore fruizione delle materie tecniche e dell’informatica in primis, e se dall’altro il Presidente del Consiglio propone di contenere il patto di coalizione in un file Excel, contestualmente gli ingegneri italiani, così come i dottori commercialisti, ma anche gli studenti delle altre dottrine scientifiche, entrano ed escono dal mondo universitario continuando a possedere insufficienti, ovvero addirittura inesistenti, cognizioni sui fogli elettronici, così come sul pacchetto Office nel suo insieme.

Tant’è che da un recente studio è stato rilevato che l’Italia, per raggiungere la soglia di 80 punti percentuali delle classi con strumenti informatici e digitali (percentuale vantata dalla Gran Bretagna), dovrà attendere ulteriori 15 anni. Però siamo già in grado di navigare in internet! E siamo altresì bravi a giocare alla PlayStation! E ci scandalizziamo se la FIAT si tramuta in FCA e trasloca in Gran Bretagna ed Olanda! Cosicché, più che di riorganizzazione, ciò che vivono gli attuali studenti è un semplice lustro estetico, una sorta di “lifting”, che, purtuttavia, ha ulteriormente contribuito a rendere appetibile l’accesso ai gradi più elevati, senza però offrire predefinite garanzie future, né dal punto di vista dell’elevata qualificazione, ancora meno per ciò che concerne la necessaria e sana selezione umana. In altri termini, una corsa senza freni all’abbeveraggio collettivo forzato, con poche apprezzabili premesse, ma tutte anzitempo disincantate, allorché il bivio è già da tempo oltrepassato. Finché tutti, o quasi, si ritrovano dapprima dottori, dipoi obtorto collo disposti a ringraziare, per entrare nel mondo del lavoro nelle svariate forme della precarietà.

E gli altri Paesi? Si diceva della Francia, che occupa il gradino inferiore al nostro, e non appare un caso, atteso che ivi la “Ecole élémentaire” si presenta praticamente identica alla nostra scuola primaria, così come il successivo “Collège” differisce dalla scuola secondaria di primo grado per i suoi quattro anni richiesti, a fronte dei nostri tre. Né il Lycée, suddiviso in due macro aree (quella ad indirizzo generale e tecnologico e quella professionale), può vantare risultati maggiormente qualificanti rispetto alla triade costituita dai nostri Licei, Istituti tecnici e Scuole professionali. Sono stati e restano, questi, due sistemi poco specializzanti, ancora improntati al mito della scuola generalista, che il mondo globalizzato già da tempo ripudia; ordinamenti che conducono lo studente ben oltre i 14 anni, prima di consentirgli di delineare la visione del proprio futuro. Al contrario, il sistema scolastico tedesco, sebbene non ai vertici, si mette in luce proprio per le peculiarità predette, giacché altamente selettivo e formativo, sia dal punto di vista dell’organizzazione, sia per quanto concerne le scelte destinate al singolo soggetto. Difatti, da un lato, l’istituzione scolastica è organizzata sotto l’egida dei “Länder”, il che comporta il conseguimento delle scelte in relazione alle specifiche esigenze del determinato territorio, dall’altro, l’istruzione generalista, incentrata fondamentalmente sulla sola scuola elementare, si palesa altresì ridotta a soli 4 anni; cosicché, ad appena 10 anni, forse poco meno, il giovanotto tedesco, in procinto di fuoriuscire dalla “Grundschule”, già si ritrova a dovere programmare il suo futuro, relativamente vincolato da un giudizio ed un “consiglio”, in funzione dei quali il professore lo indirizza verso uno specifico percorso scolastico. In sostanza, la sua determinazione spazierà tra la “Hauptschule”, ad indirizzo professionale, la “Realschule”, di impronta tecnica, ed il “Gymnasium”, di stampo meno letterario che in passato e sempre più economico, per ovvie esigenze pratico-lavorative; ciascuno dei tre livelli scolastici avrà un biennio poco diversificante, succeduto da ulteriori anni di alta specializzazione, che spaziano dai 5 anni complessivi per il grado professionale ai 9 dell’istruzione più elevata. Lo studente, unitamente alla sua famiglia, può sì optare per ciascuna delle tre scuole, anche in contrasto rispetto al giudizio del professore, ma, qualora egli desiderasse affrontare un percorso di grado superiore rispetto a quello consigliato, non potrà che accedervi attraverso un test di ammissione.

Sarà un caso che la Germania si fregia del titolo di motore dell’economia europea? No di certo! Così come non è un caso che la Spagna, dagli anni novanta ad oggi, da che era considerata uno tra i peggiori sistemi scolastici, ha visto emergere enormemente la qualità della propria istruzione. E ciò nella stessa misura in cui, la medesima nazione, da oltre un decennio, vede i propri atleti imporsi in qualsivoglia disciplina sportiva, nell’incredulità assoluta degli osservatori internazionali. Ebbene, gli studenti spagnoli, che non riuscissero a conseguire la licenza media, hanno la possibilità di optare per la “Garanzia sociale”, ossia un corso, della durata di due anni, atto ad aiutarli ad acquisire una formazione che li indirizzi verso attività professionali e lavorative, ovvero magari semplicemente proponga loro un’infarinatura culturale essenziale, così da ridurre al minimo l’impatto rispetto allo sport professionistico intrapreso. Non da meno, i College USA insegnano che il connubio istruzione-sport rappresenta una formula vincente, propeso com’è a lasciare emergere spontaneamente le attitudini del singolo individuo. Ciò perché, se solo alcuni possiedono i requisiti e la volontà per un lavoro intellettuale, soltanto gli altri dimostreranno attitudini per la manovalanza, altri ancora talento sportivo. Non per questo saremmo da giudicare diversi gli uni dagli altri, bensì ciascuno avrà modo di esaltare il proprio estro, la propria arte.

Che sia ben chiaro, chi scrive non è affatto fautore della soppressione degli studi umanistici, né della loro emarginazione in favore di un gruppo di élite. Semplicemente, l’istruzione deve restare pubblica ed aperta a tutti, possibilmente gratuita, o comunque con esigue incidenze economiche sulle famiglie, al contempo, però, essa dovrà ergersi a sistema di sana selezione e specializzazione, quest’ultima intesa nella sua più ampia accezione. La scuola mai più dovrà traghettare l’alunno fino ai 14/16 anni per consentirgli di decidere del suo futuro, né, per mere frustrazioni personali o infausti romanticismi, dovrà dare spazio ai genitori di mortificare l’estro dei figli. Essa dovrà offrire all’allievo le indubbie basi della cultura generale, però quanto prima abbandonarle, in favore della specializzazione prescelta, mano a mano sempre più selettiva. Laddove per specializzazione è da intendersi anche l’opzione per la vita sportiva, che oltre a portare enormi profitti per l’individuo, dona lustro alla nazione nel suo complesso. Gli istituti dovranno essere forniti di ambienti preposti a ciascuna delle predette esigenze, con aule studio, laboratori scientifici moderni, digitalizzazione ed informatizzazione coerente con ciascuna disciplina intrapresa, palestre ed aree sportive ampiamente attrezzate, il tutto con il continuo affiancamento di docenti, maestri e coach altamente qualificati. L’istruzione non deve più rappresentare il rifugio dei ragazzi sottratti alla strada, bensì avere il compito di educare alla responsabilizzazione ed all’interscambio culturale ed economico. Solo in questa misura il rilancio sociale ed economico potrà considerarsi una realtà, nella consapevolezza che il secondo passa inevitabilmente per il primo. Ovviamente, non lanciando lo sguardo al prossimo domani, bensì edificando un percorso lungo e stratificato, in vista di risultati certi e solidi. Occorrono investimenti cospicui? Bene… è trascorso quasi un secolo da che John Maynard Keynes teorizzò l’insufficienza della domanda aggregata a garantire la piena occupazione e la consequenziale necessità di intervento pubblico statale. È giunto il tempo di mettere in atto il sistema! di Gennaro Velleca

 

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