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Vangelo (10 Novembre) I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

Commento al Vangelo di oggi: zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergognoLc 16,1-8
I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

Esempio di buona amministrazione è Giuseppe, il figlio di Giacobbe. Con la sua sapienza, saggezza, perizia fa’ sì che il Faraone diventi proprietario di tutto il suo regno. Ogni territorio viene comprato in cambio di grano e consegnato al Re d’Egitto.

Quando fu esaurito il denaro della terra d’Egitto e della terra di Canaan, tutti gli Egiziani vennero da Giuseppe a dire: «Dacci del pane! Perché dovremmo morire sotto i tuoi occhi? Infatti non c’è più denaro». Rispose Giuseppe: «Se non c’è più denaro, cedetemi il vostro bestiame e io vi darò pane in cambio del vostro bestiame». Condussero così a Giuseppe il loro bestiame e Giuseppe diede loro il pane in cambio dei cavalli e delle pecore, dei buoi e degli asini; così in quell’anno li nutrì di pane in cambio di tutto il loro bestiame. Passato quell’anno, vennero da lui l’anno successivo e gli dissero: «Non nascondiamo al mio signore che si è esaurito il denaro e anche il possesso del bestiame è passato al mio signore, non rimane più a disposizione del mio signore se non il nostro corpo e il nostro terreno. Perché dovremmo perire sotto i tuoi occhi, noi e la nostra terra? Acquista noi e la nostra terra in cambio di pane e diventeremo servi del faraone noi con la nostra terra; ma dacci di che seminare, così che possiamo vivere e non morire e il suolo non diventi un deserto!». Allora Giuseppe acquistò per il faraone tutto il terreno dell’Egitto, perché gli Egiziani vendettero ciascuno il proprio campo, tanto infieriva su di loro la carestia. Così la terra divenne proprietà del faraone. Quanto al popolo, egli lo trasferì nelle città da un capo all’altro dell’Egitto. Soltanto il terreno dei sacerdoti egli non acquistò, perché i sacerdoti avevano un’assegnazione fissa da parte del faraone e si nutrivano dell’assegnazione che il faraone passava loro; per questo non vendettero il loro terreno. Poi Giuseppe disse al popolo: «Vedete, io ho acquistato oggi per il faraone voi e il vostro terreno. Eccovi il seme: seminate il terreno. Ma quando vi sarà il raccolto, voi ne darete un quinto al faraone e quattro parti saranno vostre, per la semina dei campi, per il nutrimento vostro e di quelli di casa vostra e per il nutrimento dei vostri bambini». Gli risposero: «Ci hai salvato la vita! Ci sia solo concesso di trovare grazia agli occhi del mio signore e saremo servi del faraone!». Così Giuseppe fece di questo una legge in vigore fino ad oggi sui terreni d’Egitto, secondo la quale si deve dare la quinta parte al faraone. Soltanto i terreni dei sacerdoti non divennero proprietà del faraone (Gen 47,15-26).

Commento al Vangelo di oggi: zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno

Gesù chiede ad ogni suo discepolo di andare ben oltre lo stesso Giuseppe. Ogni bene della terra lui lo deve trasformare in eternità beata. Anche il più piccolo bene, anche un tozzo di pane dovrà essere trasformato in gaudio e gioia del Paradiso. Questa scienza, questa sapienza, questa perizia dovrà acquisire ogni cristiano. Dal bene infinitesimale della terra dovrà ricavare una quantità smisurata di felicità immortale. Questa è la sola ed unica vera amministrazione dei beni di questo mondo. Le altre sono fallimentari, peccaminose, futili, stolte, insipienti, disumane, antiumane, di morte eterna.

La scaltrezza del cristiano proprio in questo dovrà consistere: farsi con i beni non suoi, perché sono tutti di Dio, un buon futuro eterno. Ogni bene di questo mondo lo dovrà lasciare, abbandonare in ogni istante. Non c’è alcuna sicurezza per nessuno. Oggi siamo. Domani non siamo più. Allora perché non prepararci un santo futuro eterno? È saggezza servirsi di un bene effimero, momentaneo, istantaneo per produrre con esso un bene eterno che sarà sempre nostro. Il guadagno è nullo, di perdita totale se li usiamo solo per questo mondo. Esso è invece infinito, eterno se li usiamo per procurarci la chiave che ci permetterà di entrare in Paradiso. La saggezza obbliga.




Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera saggezza.

Commento a cura del Movimento Apostolico

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