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L’attentato a Paolo VI raccontato da lui stesso

vedo confusamente un uomo… il quale impetuosamente mi veniva incontro” (Paolo VI)

Quanto segue è tratto fedelmente ed integralmente dal libro “Paolo VI nella sua parola”, del suo segretario mons. Pasquale Macchi, 2001, Ed. Morcelliana.

Il 27 novembre del 1970 a Manila (Filippine), il beato Paolo VI viene ferito da uno squilibrato armato di coltello.

Estremo Oriente, Australia, Pacifico

Nell’imminenza del viaggio in Estremo Oriente (26 novembre- 5 dicembre 1970), Paolo VI volle darne l’annuncio, come di consueto, in una udienza generale, il 4 novembre:

«Dove ci porterà questo viaggio? Stazione prima Manila, nelle Isole Filippine, fra il mare della Cina e l’Oceano Pacifico; ma si dovrà fare uno scalo di poche ore a Teheran, nell’Iran (l’antica Persia). Perché a Manila? Perché è là convocata una riunione dei Vescovi dell’Asia Orientale… Da parecchi anni noi eravamo stati invitati a visitare quella Nazione… tanti pellegrini, venendo a Roma, ci dicono sempre l’attesa che là ci chiama. Vi rimarremo tre giorni.

Da Manila faremo un rapido viaggio ad una delle Isole lontane della Polinesia, in mezzo al Pacifico, per rendere omaggio simbolico alle popolazioni disseminate nell’immenso Oceano, e per salutare una delle Missioni Cattoliche più tipiche.

Di là a Sydney, in Australia. Vi incontreremo l’Episcopato di quel grande continente, quello della Nuova Zelanda e di altri Paesi dell’Oceania … Tre giorni. Ai motivi propriamente religiosi del nostro viaggio se ne aggiunge uno speciale, quello di associarci alle celebrazioni bicentenarie, che hanno luogo quest’anno in Australia.

Da Sydney a Djakarta. Un giorno pieno d’incontri, con i Vescovi, le Autorità civili, le comunità cattoliche e con il Popolo dell’Indonesia. Come rinunciare a questa irrepetibile e ambita opportunità?

Da Djakarta un volo a Hong-Kong, per poche ore, ma sufficienti, noi speriamo, per testimoniare a tutto indistintamente il grande Popolo Cinese la stima e l’amore della Chiesa cattolica e nostro personale. Poi, sempre correndo, a Colombo, nel Ceylon. Poche ore ma anch’esse piene d’incontri e di cerimonie».

Evidentemente l’obiettivo generale era «apostolico, religioso, ecclesiale, spirituale e missionario».

Non sarebbe stato un viaggio tranquillo, e nessuno poteva prevedere che avrebbe comportato un gravissimo rischio per l’incolumità del Papa.

A Manila, appena sbarcato dall’aereo, il mattino del 27 novembre, mentre salutava le Autorità, i Cardinali e i Vescovi, il Papa venne aggredito da un pittore boliviano, Benjamin Mendoza y Amor, di trentacinque anni, vestito da sacerdote, che in una mano teneva un crocifisso dorato e nell’altra, nascosto da un panno, un «kris» (pugnale malese a lama serpeggiante). Con un colpo ferì il Papa al collo, fortunatamente protetto dal colletto rigido, e con un altro al petto vicino al cuore.

Paolo VI così rammenta quei momenti:

«Se ben ricordo, dopo i saluti alle personalità schierate… vedo confusamente un uomo… il quale impetuosamente mi veniva incontro. Io     pensavo che fosse uno dei tanti che volevano salutarmi o baciare la mano, o dire qualcosa… Appena egli fu davanti a me, mi diede con ambedue le mani, due formidabili pugni al petto, e poi subito due altri, tanto che io ne sentii la forte percossa… Immediatamente l’individuo fu preso e allontanato… Vedo ancora Don Macchi che se la prendeva vivacemente con questo intruso… e sempre credendo che si trattasse di un devoto indiscreto, feci cenno con la testa di non fare caso al suo atto aggressivo».

Da parte mia, pensando che si trattasse di un fanatico, mi precipitai su di lui con una certa violenza per immobilizzarlo, e lo buttai tra le braccia della polizia, impedendogli così di infierire con altri colpi.

Il Papa, dopo un primo istante di smarrimento, sorrise dolcemente. Io rivedo ancora il suo volto luminoso, dolcissimo, come di chi è felice di soffrire per Cristo e per la Chiesa, e rivedo altresì il suo sguardo su di me, velato da un leggero rimprovero per la mia irruenza.

Poi proseguì verso il palco per il primo discorso, senza accennare all’attentato: il suo abito bianco, però, era segnato da una macchia di sangue.

Lui stesso, in una nota del 27 novembre 1971, dice:

«Si montò in macchina. Vidi allora sulla manica (sinistra?) alcune piccolissime goccioline di sangue, e mi accorsi che una mia mano doveva aver toccato qualche cosa macchiato di sangue, forse la mano dell’ignoto aggressore. Continuavo ad avvertire sul petto l’impronta delle percosse, ma nulla più. Si arrivò alla Cattedrale. All’atto di indossare i paramenti cercai di lavare le impronte sanguigne della mano, senza darmi altra ragione di ciò ch’era realmente accaduto».

Il medico personale, professor Fontana, nella Nunziatura poté visitare il Papa; constatata la gravità delle ferite, provvide alle cure necessarie, compresa anche un’iniezione antitetanica che procurò un attacco di febbre, e consigliò di sospendere gli impegni del pomeriggio.

Riporto qui la dichiarazione medica ufficiale:

«Referto della visita medica praticata a Sua Santità Paolo VI presso la Nunziatura apostolica di Manila due ore dopo l’attentato alla sua Augusta Persona perpetrato all’arrivo all’aeroporto di Manila il 27 novembre 1970.

1) Escoriazione in corrispondenza della fossa sopraclaveare destra, in prossimità del III medio del margine anteriore del cucullare;

2) Ferita da punta, a decorso verticale, lunga circa 1 cm., interessante la cute e il sottocutaneo all’altezza del 2° spazio intercostale sinistro, lungo la parasternale;

3) Vasta ecchimosi della regione sottoclaveare sinistra.

Prognosi: guaribile in sette giorni salvo complicazioni. Praticata la profilassi antitetanica.

Prof. Mario Fontana».

Il Papa però decise che il programma si svolgesse come previsto per non deludere le attese della gente e per mantenere il riserbo sull’accaduto.

Nella sua nota scrive:

«Arrivati al domicilio a noi assegnato, la casa della Nunziatura apostolica, potei spogliarmi, e allora mi accorsi che la maglia, intrisa di sudore, aveva una grande macchia di sangue al petto, dovuta ad una piccola ferita, proprio vicina alla regione del cuore, superficiale e indolore: la maglia aveva contenuto l’emorragia, non copiosa del resto. Un’altra ferita, anche più piccola, quasi una scalfittura apparve, a destra, alla base del collo. Come queste due lesioni fossero state prodotte io non saprei, perché non mi accorsi che nei violenti pugni dell’assalitore si nascondessero delle armi. Subito medicato dalla premura del bravo e sempre pronto Professore Mario Fontana, che ci era compagno di viaggio, le due ferite furono tamponate e medicate nei giorni successivi, e ben presto guarite.

Nulla di grave perciò, salvo il pericolo che il Signore nella sua provvidenza impedì che avesse le conseguenze letali da cui poteva essere seguito. Piccola avventura di viaggio, un po’ di rumore nel mondo (seppi che in Italia, all’arrivo della notizia, il Parlamento sospese la seduta), e grande riconoscenza a quanti si interessarono di me; ma soprattutto grazie al Signore che mi volle salvo e mi concesse di proseguire il viaggio e di compierne il laborioso programma senza alcuna menomazione».

Traspaiono anche da questo suo appunto l’umiltà e la discrezione caratteristiche di Paolo VI, sempre pronto a distogliere dalla propria persona ogni forma di esaltazione.”

Fonte: https://cooperatores-veritatis.org/2017/01/27/lattentato-a-paolo-vi-raccontato-da-lui-stesso/

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