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I seminaristi calabresi studiano la ‘ndrangheta per fuggire da ogni omertà

In Calabria per diventare preti si dovrà studiare la ‘ndrangheta. La Conferenza episcopale regionale ha formulato nuove direttive ai seminari al termine di una riunione nel corso della quale è stato sottoscritto un documento che richiama due indicazioni di papa Francesco: quelle sul “coraggio della denuncia” e sulla “fuga da ogni omertà”. Non si tratta di concetti scontati, in Calabria. Accanto a figure impegnate in prima persona per la promozione della legalità, tra i sacerdoti delle dodici diocesi regionali si registrano diversi casi inquietanti. Proprio a fine marzo, nell’ambito di un’operazione che ha portato tra l’altro all’arresto di un ex maresciallo dei carabinieri di Vibo Valentia, è riapparso il nome di un parroco che dal dicembre 2012 si trova sotto indagine per associazione mafiosa. Secondo l’accusa, don Salvatore Santaguida avrebbe captato e trasmesso informazioni a una delle sanguinarie cosche della zona, impegnate in una faida cruenta. Eppure proprio quel sacerdote nel 2003 era salito alla ribalta delle cronache per aver avviato un’operazione “trasparenza” che allontanasse le cosche dal rito tradizionale dell’Affruntata, una processione che si svolge a ridosso della Pasqua in diverse zone della Calabria e della quale la ‘ndrangheta ha provato più volte a servirsi, utilizzando la simbologia della statua di san Giovanni che si inginocchia davanti a quella del Redentore per rendere pubblici gli atti di sottomissione dei nuovi affiliati ai boss. Sempre nel Vibonese, ma a Sant’Onofrio, nel 2010 il vescovo Luigi Renzo fu costretto a intervenire rinviando e presidiando personalmente quel rito.

Quello delle incrostazioni criminali nella devozione cristiana è un problema che affligge da sempre la Chiesa calabrese e che vive nella festa di Polsi, celebrata a settembre nel santuario immerso nell’Aspromonte, un appuntamento cruciale, tanto che in passato le attività sacre venivano affiancate da un contemporaneo summit della ‘ndrangheta. Impossibile, quindi, per i presuli ignorare il problema. Anche perché in alcuni casi le contiguità mafiose sono arrivate fino alle porte dell’episcopio. A Reggio Calabria, ad esempio, è stato il cerimoniere del vescovo e parroco del quartiere di Condera, don Nuccio Cannizzaro, a finire nelle carte di un’inchiesta delicata: ora si trova sotto processo perché avrebbe reso false dichiarazioni avvantaggiando un mafioso della zona. La vicenda ha suscitato clamore perché la curia reggina ha rigettato la lettera con la quale Cannizzaro si dimetteva dai suoi incarichi. A Locri, invece, quando presiedeva la diocesi l’attuale arcivescovo di Reggio, Giuseppe Fiorini Morosini, con un decreto furono espulse dalle associazione ecclesiali tutte le persone sottoposte a procedimento penale.

Una posizione chiara sul contrasto alla ‘ndrangheta l’ha chiesta già nel 2007 la Caritas calabrese, che in un convegno dal titolo “E’ cosa nostra” ha suggerito linee pastorali dettagliate per orientare i parroci su come comportarsi per i sacramenti ai mafiosi – dalla comunione ai funerali – e sul delicato aspetto dell’incarico di padrini per battesimi e cresime, che in alcuni contesti diventano passaggi strategici per suggellare alleanze. Gli atti di quel convegno furono trasmessi in tutta Italia, fino a diventare caso di studio persino in Giappone, anche se quelle indicazioni attendono ancora di essere formalizzate. In realtà, rivendicano i vescovi nella nota diffusa oggi, sul tema della ‘ndrangheta l’impegno della Chiesa calabrese è quarantennale: a partire da una nota del 1975 nella quale, sottolineano i presuli, è stato segnato un “punto di svolta” indicando la mafia come “disonorante piaga della società”. Ma non sempre alle dichiarazioni è seguito il fervore quotidiano, specie nelle periferie. E così le figure dei preti in prima linea sono rimaste spesso isolate e bersaglio di intimidazioni. A Roma, nell’incontro di Papa Francesco con i familiari delle vittime di mafia promosso da Libera, don Ciotti ha voluto che ci fossero anche quattro sacerdoti calabresi. Li ha presentati al pontefice insieme ad altri provenienti da tutta Italia: “Loro – ha detto – sono vicini alla gente sul territorio, sono i rappresentanti di una parte di Chiesa che è stata spesso emarginata ed etichettata come di strada o antimafia e che invece è solo una Chiesa che ama Dio e la gente e che vuole saldare la terra al cielo”. E dai seminari calabresi, adesso, potrebbero uscire nuovi preti così. di Andrea Gualtieri

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