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Dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco: 50 anni di comunicazione. Le nuove tecnologie sono realmente a servizio dell’uomo?

Dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco: 50 anni di comunicazione. Le nuove tecnologie sono realmente a servizio dell'uomo?Qualche anno fa, non potevamo immaginare l’enorme sviluppo tecnologico che ha investito l’ambito della comunicazione e di conseguenza i cambiamenti che questo ha apportato nella nostra vita. Oggi è opportuno domandarsi se le nuove tecnologie sono realmente a servizio dell’uomo o se stanno invertendo questa relazione.

Desidero condividere una riflessione generale che ci aiuti a capire il processo che abbiamo vissuto nelle ultime decadi e come la Chiesa ha reagito di fronte alla trasformazione della comunicazione.

Uno sguardo indietro

Nel 2013, abbiamo celebrato il 50° anniversario del Decreto Conciliare “Inter Mirifica”, con il quale si concede una sorta di “cittadinanza” ai mezzi di comunicazione, che vengono riconosciuti come strumento importante per la vita della Chiesa, per questo si chiedeva ai pastori di usarli efficacemente.

Senza dubbio, nella fase preparatoria del Concilio Vaticano II, l’ambito della comunicazione non fu considerato come un orizzonte strategico per la Chiesa o per il futuro dell’umanità: delle 9.348 proposte di tema per i lavori del futuro concilio, solo 18 facevano riferimento alla comunicazione. Fu S. Giovanni XXIII che desideró introdurre il tema dei mezzi di comunicazione nell’agenda conciliare.

Finalmente si approvò il documento con 1969 voti a favore e 164 contrari (fu il documento che ebbe più voti contrari). Senza dubbio possiamo affermare che il suo varo fu provvidenziale, in quanto diede il via a un processo di assimilazione dei mezzi di comunicazione sociali nella vita della Chiesa.

Il documento conciliare diede due mandati chiari: creò la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e chiese che si cominciasse a redigere un’Istruzione pastorale, che fu poi pubblicata nel 1971 con il titolo “Communio et Progressio”.

Si iniziò a consolidare l’interesse della Chiesa per i mezzi di comunicazione. Ora l’istituzione ecclesiale non si limitava ad essere un censore, cercava, anzi, di motivare i pastori ad interessarsi al mondo della comunicazione, invitandoli a mantenere una mente aperta di fronte alle opportunità che i media offrivano nel campo dell’evangelizzazione.

Da un lato, rimase chiaro che la testimonianza di una vita cristiana autentica fosse il primo mezzo di evangelizzazione; così affermava anche Paolo VI nel 1975 “È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità” (Evangelii Nuntiandi, 41).

Dall’altro lato, invece, andò crescendo l’interesse per gli aspetti tecnici della comunicazione; i sacerdoti ed, in generale, gli addetti alla pastorale, fecero propri i mezzi di comunicazione di massa tra gli anni Settanta e Ottanta, stimolati dall’invito fatto da Paolo VI con le celebri parole: “La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati; servendosi di essi la Chiesa «predica sui tetti» il messaggio di cui è depositaria; in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini” (Evangelii Nuntiandi, 41).

In questo modo la Chiesa iniziò ad utilizzare gli strumenti di comunicazione di massa, concependoli come un megafono mediante il quale annunciare il Vangelo, con la convinzione sottostante che maggiore fosse stata la quantità dei mezzi di comunicazione più ampia sarebbe stata l’efficacia della comunicazione stessa; si sviluppò, inoltre, il dibattito, che dura ancora oggi, circa la necessità d’avere mezzi propri o di essere presenti nei mezzi non cattolici.

Dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco: 50 anni di comunicazione. Le nuove tecnologie sono realmente a servizio dell'uomo?


L’espansione del Web

Con l’espansione e la globalizzazione di Internet negli anni Novanta, il panorama cambiò radicalmente. Il fenomeno della globalizzazione influenzò tutte le sfere della vita della persona. Questa nuova realtà presentò nuove opportunità e nuove sfide. Il paradigma della comunicazione nella vita degli esseri umani si trasformò, si smise di parlare di mezzi o di strumenti di comunicazione di massa. S. Giovanni Paolo II, all’inizio degli anni Novanta, fece notare che la Chiesa stava assistendo alla trasformazione degli strumenti di comunicazione sociale, che iniziavano ad essere concepiti come un ambiente che la Chiesa deve abitare ed evangelizzare (cf. Redemptoris Missio 37).

Purtroppo, in molti ambiti la Chiesa non ha ancora cambiato il proprio paradigma comunicativo, in quanto, si preferisce rimanere legati al vecchio schema secondo il quale i mezzi di comunicazione sono visti come dei “megafoni” e non come un ambiente da vivere. Finché l’idea di comunicazione apparterrà al passato continueremo a realizzare una pastorale che parla con un linguaggio non comprensibile alla società attuale e gli sforzi fatti per la costruzione di uffici di comunicazione e di siti web risulteranno inefficaci.

Solamente un atteggiamento d’apertura verso la conversione pastorale ci farà valorizzare la comunicazione come una testimonianza dialogante e rispettosa, che ha bisogno anche di spazi di formazione.

L’itinerario da seguire in questo processo ecclesiale- nell’ambito della comunicazione- è tracciato dai messaggi che i pontefici hanno offerto nelle ultime decadi.

Infine si può concludere dicendo, che il problema della comunicazione nella Chiesa non è relazionato alla mancanza degli strumenti tecnici atti a realizzare una buona comunicazione ma molte volte all’incapacità di adattarsi al nuovo contesto comunicativo ed alla sue caratteristiche di orizzontalità, interattività e velocità.

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Una nuova era per la comunicazione ecclesiale

Mi sembra che tutti concordino sul fatto che Papa Francesco sia un grande comunicatore. Parafrasando Padre Rupnik, teologo e grande artista contemporaneo, si può affermare che siamo di fronte ad un nuovo cambio d’epoca. La modernità come la conosciamo – spinta dall’intelletto e dalla ragione- mostra i suoi limiti; e si apre un ciclo nel quale la cultura, la vita, il simbolo e la poetica ricoprono un’importanza notevole. Pensiamo al peso che si dà a temi come l’ecologia o l’alimentazione di fronte alla macroeconomia.

Papa Francesco incarna la tendenza dell’epoca post-moderna: la riscoperta dell’uomo libero da astrazioni e intellettualismi. Le sue parole nascono dell’interpretazione dei segni del tempo.

Papa Francesco incarna la risposta efficace alle reale sfida della comunicazione: non siamo di fronte ad un problema che riguarda i mezzi o gli strumenti da utilizzare ma piuttosto a un problema che riguarda la comunione, la vicinanza e soprattutto la testimonianza di un Dio misericordioso. Questo non significa che si voglia edulcorare il messaggio del Vangelo per far sì che sia più vicino alla società, ma al contrario si afferma l’esigenza di una radicalità della vita cristiana.

Oggi la Chiesa, nel campo la Comunicazione deve anche essere capace di recuperare l’universo simbolico (Juan Díaz Bernardo: 2002) nella capacità creatrice della parola e nel potere evocatore dell’immagine. Questi due elementi offrono nuove possibilità di rinnovamento del linguaggio che deve essere capace di creare nelle differenti culture luoghi nei quali sia possibile percepire la presenza del sacro sia a livello personale che comunitario.


Arcivescovo Claudio Maria Celli
Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Fonte articolo originale: San Francesco Patrono d’Italia

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