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Una riflessione dal Getsemani e 7 consigli per una buona veglia

Siamo onesti, ma non per scusarci: non è facile seguire Gesù. Quando si fa tardi e ci chiede di fare qualche passo in più; quando si allontana da noi, anche se alla distanza ridicola di un tiro di pietra. Non è facile. Ci complichiamo la vita, diventiamo tesi e mercanteggiamo, perché “lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mc 14, 38). Vorremmo stare con il Maestro al Getsemani, per arrivare ben preparati alla Pasqua, ma non è facile accompagnare Gesù. In quelle notti oscure, quando tutto si complica; quando intravediamo all’orizzonte il Calvario e la Croce che si avvicinano. Che fare? Come possiamo rinnovarci per vegliare come si deve con il Maestro, con colui che “nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte” (Eb 5, 7)?

1. Nella preghiera accettiamo la volontà di Dio

Christ in the Garden of Gethsemane, Giambattista Tiepolo 1750

Padre Raniero Cantalamessa si chiedeva in una delle sue omelie: “A chi somigliamo noi, quando preghiamo in situazioni di difficoltà? Somigliamo a Giacobbe, all’uomo dell’Antico Testamento, quando, nella preghiera, lottiamo per indurre Dio a cambiare decisione, più che per cambiare noi stessi e accettare la sua volontà; lottiamo perché ci tolga quella croce, più che per essere in grado di portarla con lui. Somigliamo invece a Gesú se, pur fra i gemiti e sudando sangue, cerchiamo di abbandonarci alla volontà del Padre. I risultati delle due preghiere sono molto diversi. A Giacobbe Dio non dà il nome, ma a Gesù darà il nome che è al di sopra di ogni altro nome (cf Fil 2, 11)” (Gesù al Getsemani, venerdì 17 marzo 2006).

2. La posizione del corpo è molto importante

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Cercando di insegnargli l’arte della tentazione, un demone di nome Berlicche scriveva al nipote Malacoda in una delle sue lettere: “La cosa migliore, se è possibile, è allontanare totalmente il paziente dall’intenzione di pregare seriamente. […] Uno dei suoi poeti, Coleridge, ha scritto che non pregava ‘muovendo le labbra e inginocchiato’, ma semplicemente ‘si metteva nella condizione di amare’ e si consegnava a ‘un senso implorante’. È proprio il tipo di preghiera che ci conviene, e visto che ha una certa somiglianza superficiale con la preghiera del silenzio che praticano coloro che sono molto avanti nel servizio del Nemico (Dio), possiamo ingannare per un bel po’ di tempo i pazienti svegli e pigri. Almeno, si possono convincere del fatto che la posizione del corpo sia irrilevante per pregare” (C. S Lewis, Le Lettere di Berlicche).

Conclusione: il corpo è fondamentale per la tua preghiera, e il demonio lo sa. Per questo, anche se ti costa, non sederti o non ripiegarti in una posizione comoda, perché sicuramente ti addormenterai.

3. Inginocchiarsi con rinnovato ardore e senso

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Se puoi, resta ben inginocchiato, come diceva monsignor Romano Guardini:

“L’uomo che è umile si sente piccolo, china la testa e piega tutto il corpo. Si ‘umilia’. E più si umilia più è grande il suo interlocutore, più evidente gli si presenta la sua piccolezza. Più lo schiaccia […] La persona diventa piccola; vorrebbe abbassare la sua statura naturale per privarsi di qualsiasi arroganza – ed ecco che l’uomo è già dimezzato. È caduto in ginocchio. E se questo non è ancora sufficiente al cuore contrito e umiliato, tutto il corpo si piegherà. E il corpo inclinato sarà, di per sé, una supplica intensamente espressiva. […] Piegando le ginocchia, non trasformare questa azione in un gesto precipitoso, né puramente meccanico. Infondigli un’anima! E l’anima di questo gesto consiste nel fatto che anche il tuo cuore si inginocchi in un profondo senso di venerazione davanti alla maestà di Dio. Quando entri in chiesa o ne esci, quando passi davanti all’altare, piega il ginocchio, lentamente, profondamente, inginocchia anche il tuo cuore. E quando ti genufletti, dì con tutto il rispetto: “Dominus meus et Deus meus” – Signore mio e Dio mio! Questa è umiltà, è verità. Ogni volta che lo farai, la tua anima sarà toccata dalla grazia di Dio” (Romano Guardini, I Santi Segni).

4. Alzarsi in piedi con reverenza

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Se non puoi inginocchiarti o ti addormenti anche in ginocchio, mettiti in piedi senza paura né vergogna davanti al Santissimo (cerca ovviamente un luogo in cui non ostacolare la vista degli altri o non distrarli). Guardini ci ricorda il senso profondo di tutto questo:

“Questi sentimenti di venerazione possono tradursi anche in un altro modo. Supponiamo che sei seduto a riposare o a conversare. All’improvviso si avvicina un uomo che riverisci e ti rivolge la parola. Ti metti subito in piedi, per ascoltarlo e rispondere alle sue domande. Perché? Questo atteggiamento di mettersi in piedi significa innanzitutto che una persona concentra le sue forze; anziché l’abbandono proprio di chi si getta comodamente in poltrona, si possiede se stessi, si assume un atteggiamento virile. Significa che si sta attenti. Stare in piedi denota vigilanza, dominio di sé, una certa tensione. Significa, infine, che si è disponibili, pronti all’azione. L’uomo in piedi è in allerta, è in condizioni di partire; può eseguire subito un ordine, o svolgere un compito. Ecco, quindi, una manifestazione nuova del rispetto dovuto a Dio. Stare in ginocchio e stare in piedi sono come il fronte e il retro della stessa medaglia. In ginocchio, la natura adora Dio, riposa alla sua presenza. In piedi, esprime il suo anelito ad operare. Per questo stanno in piedi, in atteggiamento di rispetto, il ‘servo fedele e attento’ alle minime insinuazioni del padrone e il soldato pronto a combattere. Stare in piedi simboleggia quindi il senso di venerazione, di rispetto. Per questo ci alziamo quando – durante la Messa – alla lettura del Vangelo risuona la ‘Buona Novella’”.

5. Perseverare e pregare di più di fronte alle tentazioni

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In un altro passo della sua omelia, padre Raniero Cantalemessa diceva:

“(La) possibilità sempre a portata di mano per un credente è la preghiera. E se uno ha già pregato senza successo? Pregare ancora! Pregare prolixius, con maggiore insistenza. Si potrebbe obiettare che, però, Gesú non fu ascoltato! Ma la Lettera agli Ebrei dice esattamente il contrario: ‘Fu esaudito per la sua pietà’. Luca esprime questo aiuto interiore che Gesú ricevette dal Padre, aggiungendo il particolare dell’angelo: ‘Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo’ (Lc 22, 43). Ma si tratta di una prolessi, di una anticipazione; il vero grande esaudimento del Padre fu la risurrezione di Cristo. Dio, notava Agostino, ascolta anche quando… non ascolta, quando, cioè, non otteniamo quello che gli stiamo chiedendo. Il suo stesso ritardare di esaudire è già un esaudire, per poterci dare di più di quello che gli chiediamo. Se, nonostante tutto, continuiamo a pregare è segno che ci sta dando la sua grazia. Se Gesú alla fine della scena pronuncia il suo risoluto: ‘Alzatevi, andiamo!’ (Mt 26,46) è perché il Padre gli ha dato più che ‘dodici legioni di angeli’ per difenderlo. ‘Gli ha ispirato, dice san Tommaso, la volontà di soffrire per noi, infondendogli l’amore’”.

6. Pregare con, e come, Gesù

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Papa Benedetto XVI insegnava in una delle sue catechesi che Gesù al Getsemani “invita Pietro, Giacomo e Giovanni a stargli più vicino. Sono i discepoli che ha chiamato ad essere con Lui sul monte della Trasfigurazione (cfr Mc 9,2-13). Questa vicinanza dei tre durante la preghiera al Getsemani è significativa. Anche in quella notte Gesù pregherà il Padre ‘da solo’, perché il suo rapporto con Lui è del tutto unico e singolare: è il rapporto del Figlio Unigenito. Si direbbe, anzi, che soprattutto in quella notte nessuno possa veramente avvicinarsi al Figlio, che si presenta al Padre nella sua identità assolutamente unica, esclusiva. Gesù però, pur giungendo ‘da solo’ nel punto in cui si fermerà a pregare, vuole che almeno tre discepoli rimangano non lontani, in una relazione più stretta con Lui. Si tratta di una vicinanza spaziale, una richiesta di solidarietà nel momento in cui sente approssimarsi la morte, ma è soprattutto una vicinanza nella preghiera, per esprimere, in qualche modo, la sintonia con Lui, nel momento in cui si appresta a compiere fino in fondo la volontà del Padre, ed è un invito ad ogni discepolo a seguirlo nel cammino della Croce. L’Evangelista Marco narra: ‘Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: ‘La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate” (14, 33-34). […] Dopo l’invito a restare e a vegliare in preghiera rivolto ai tre, Gesù ‘da solo’ si rivolge al Padre. L’Evangelista Marco narra che Egli ‘andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora’ (14, 35). Gesù cade faccia a terra: è una posizione della preghiera che esprime l’obbedienza alla volontà del Padre, l’abbandonarsi con piena fiducia a Lui” (Udienza generale, 1° febbraio 2012).

7. Non lesinare, dare tutto come ha fatto il Signore per noi

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Per sottolineare quello che Gesù ha fatto per noi, padre Cantalamessa ricordava una poesia di Tagore in cui un mendicante racconta la sua esperienza:

“Dice più o meno cosi: Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza apparve un cocchio d’oro. Era il cocchio del figlio del Re. Pensai: questa è l’occasione della mia vita e mi sedetti spalancando la bisaccia, aspettando che l’elemosina mi venisse data, senza che neppure la chiedessi, anzi che le ricchezze piovessero perfino in terra attorno a me. Ma quale non fu la mia sorpresa, quando, giunto vicino, il cocchio si fermò, il figlio del Re discese e, stendendo la mano diritta, mi disse: ‘Che cos’hai da darmi?’. Qual gesto regale fu quello, di stendere la tua mano!… Confuso ed esitante, presi dalla bisaccia un chicco di riso, uno solo, il più piccolo, e glielo porsi. Che tristezza però, quando, a sera, frugando nella mia bisaccia, trovai un chicco di riso d’oro, ma uno solo e il più piccolo. Piansi amaramente di non aver avuto il coraggio di dare tutto. Il caso più sublime di questa inversione delle parti è proprio la preghiera di Gesù nel Getsemani. Egli prega che il Padre gli tolga il calice, e il Padre chiede a lui di berlo per la salvezza del mondo. Gesù dona non una, ma tutte le gocce del suo sangue e il Padre lo ricompensa costituendolo, anche come uomo, Signore, sicché ‘una sola goccia di quel sangue basta ora a salvare il mondo intero’ (una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere)”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

Fonte: Aleteia. Link all’articolo originale qui

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