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Sant’Antonio fece 53 miracoli nel primo anno. E fu ‘santo subito’. Ecco dove sono le sue reliquie oggi

Sant’Antonio da Lisbona, che in Italia chiamiamo Sant’Antonio da Padova, venne a Roma chiamato dal Papa. A Padova Antonio era arrivato, per morirci  pochi anni dopo, come superiore per il Nord Italia dell’Ordine dei Francescani. Alla morte di San Francesco l’ordine era in subbuglio e il Papa, fece ricorso alle capacità diplomatiche e dottrinali del giovane portoghese.

Il futuro Sant’Antonio di nascita si chiamavaFernando Martins de Bulhões y Taveira de Azevedo  nobile famiglia che fra gli antenati vanta quel Goffredo di Buglione, principe belga che guidò la prima crociata.
Si ricorda che per quasi 2 mila anni l’Europa è stata proprietà principalmente di poche migliaia di famiglie di origine barbarica: longobardi (Italia), franchi (Francia), visigoti (Francia, Spagna e Portogallo), normanni (cioè pirati norvegesi riciclati: Francia e, fino a oggi, Inghilterra), svevi (Germania), con qualche eccezione bizantina (Napoli e Sud Italia) e un intervallo di qualche secolo in Spagna, Portogallo e Sicilia.
Fino a Santa Maria Goretti, nell’insieme anche santi, come i vescovi e i papi, la Chiesa li sceglieva in quelle schiere nobiliari.
L’ARCA DEL SANTO E L’INVETTIVA CONTRO GLI USURAI
E così, quando tra francescani era scoppiata la disputa tra chi voleva un ordine più dedicato agli studi e alla preghiera  e più povero e chi voleva una regola più adatta a una comunità che da “girovaga” stava diventando “residenziale”, Antonio era stato inviato a Roma da Papa Gregorio IX perché dirimesse la disputa.  All’80enne Gregorio IX il giovane frate piacque talmente che, risolta la disputa, lo trattenne a Roma  perché predicasse a lui e ai cardinali le meditazioni quaresimali. E conquistato dalle sue prediche il pontefice gratificò Antonio non solo dei titoli di “esimio teologo” e “peritissimo esegeta, ma anche di quello di “Arca del Testamento”.
Nascerà così “l’Arca di S. Antonio”, istituzione che a Padova e dintorni accumulò anche una serie di immobili, terreni, coltivazioni e allevamenti i cui lavoratori ancora negli anni ’70 del 1900, cioè in pieno XX Secolo, erano privi di diritti, trattati in modo medioevale. Lo scandalo venne sollevato a Padova nel ’73 dall’architetto e giornalista pubblicista Gigi Bussadori. Durante la quaresima del suo ultimo anno di vita, 1231, Antonio predicò in favore dei poveri e delle vittime dell’usura. Famosa l’invettiva contro gli usurai:
 “Razza maledetta, sono cresciuti forti e innumerevoli sulla terra, e hanno denti di leone. L’usuraio non rispetta né il Signore, né gli uomini; ha i denti sempre in moto, intento a rapinare, maciullare e inghiottire i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove… E guarda che mani osano fare elemosina, mani grondanti del sangue dei poveri. Vi sono usurai che esercitano la loro professione di nascosto; altri apertamente, ma non in grande stile, onde sembrare misericordiosi; altri, infine, perfidi, disperati, lo sono apertissimamente e fanno il loro mestiere alla luce del sole”.
 L’invettiva ebbe un effetto pratico:  il 15 marzo il podestà di Padova Stefano Badoer, “su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell’ordine dei frati minori”, stabilì che il debitore impossibilitato a pagare se in contropartita cedeva i propri beni al creditore non finisse più né in galera né in esilio.
Venerdì 13 giugno, mentre era ospite per un periodo di meditazione nel castello del conte Tiso a Camposanpiero, 20 chilometri da Padova, Antonio, già debilitato da digiuni di penitenza e continui viaggi pastorali,  fu colto da malore, si sentì venir meno e capì che stava per morire. Poiché voleva morire a Padova, chiese di esservi riportato. Ma i confratelli, viste le sue condizioni, si fermarono all’Arcella, che all’epoca era nella giurisdizione non di Padova, ma di Capodimonte, nell’ospizio accanto al monastero delle monache clarisse. Qui, ricevuta l’estrema unzione e mormorate le parole “video dominum meum”, chiuse gli occhi e spirò. Gli abitanti di Capodimonte si opposero armi in pugno ai frati accorsi da Padova per seppellirlo in quella che diventerà la “sua” città per antonomasia. Lo scontro armato fu evitato con un compromesso: cerimonia funebre all’Arcella e traslazione nel convento patavino.
DICHIARATO SANTO IN TEMPO RECORD ASSOLUTO
Il 30 maggio 1232, dopo avere ascoltato nel duomo di Spoleto la lettura dei 53 miracoli attribuitigli, Papa Gregorio IX, il pontefice che lo aveva nominato Arca del Testamento, lo ha proclamato ufficialmente santo fissandone la data della festa liturgica nel giorno  “dell’anniversario della sua nascita in cielo”, vale a dire il 13 giugno della morte terrena.
Nel 1263 il ministro generale dei francescani, Bonaventura da Bagnoregio, fece traslare la salma di Antonio nella nuova basilica, che porta ancora oggi il nome del santo. Durante l’ispezione del cadavere prima della traslazione i frati asserirono di avere trovato la sua lingua intatta e rosea come se fosse viva, ritrovamento ancora oggi ricordato ogni anno dai frati antoniani della basilica padovana. Mentre ciò che resta delle spoglie del santo è conservato nella Cappella dell’Arca, all’interno dell’altare, la lingua è conservata assieme alle corde vocali nella Cappella delle Reliquie della basilica, Ma sulle reliquie di S. Antonio “da Padova” è fiorito un culto particolare, che contribuisce ad attirare ogni anno in città tre milioni di pellegrini da tutto il mondo, con annesse spese e offerte.
RELIQUIE ANCHE NELLA “PADOVA DEL SUD”
Nella Cappella delle Reliquie si trova, in un apposito reliquiario a forma di busto, anche ciò che secondo la tradizione è il mento e “il dito del predicatore”, cioè l’ indice destro, portati in processione ogni 13 giugno. Rubato il 10 ottobre 1991, il busto in questione venne ritrovato dopo due mesi a Fiumicino: ritrovamento  probabile effetto, più che di un miracolo, di un ricco riscatto pagato ai ladri, ma del quale nulla è mai trapelato. Reliquie del portoghese Sant’Antonio “da Padova” si trovano anche a:
– Zugliano, nel Vicentino. A destra dell’entrata della chiesa di S. Zenone, santuario di S. Antonio, si trova un’altra Arca del Santo, che si vuole custodisca alcuni frammenti del suo osso radio, l’osso laterale dell’avanbraccio,  donati alla parrocchia nel 1656.
– Afragola, nel Napoletano, detta anche “Padova del Sud” perché  con la sua basilica-santuario è il secondo luogo più importante in Italia per il culto di S. Antonio, tanto che nel febbraio 1995 i frati antoniani di Padova hanno donato alla basilica un pezzo di circa sei centimetri dei muscoli del torace del santo.
– Roccalumera, nel Messinese. Per la precisione, nel suo santuario antoniano.
– Alberobello, in Puglia, nella chiesa a forma di trullo a lui dedicata.
SE MAOMETTO NON VA ALLA MONTAGNA…
 Esiste però anche il “pellegrinaggio delle Reliquie”, con il quale ad andare in pellegrinaggio non sono i fedeli diretti ai luoghi delle reliquie, bensì le stesse reliquie  ad andare in pellegrinaggio nei luoghi dei fedeli. Con le “missioni antoniane”, infatti, un frate della basilica padovana si reca dai devoti di Sant’Antonio da Padova che in Italia e nel mondo non hanno la possibilità di andare a venerare il santo e le sue reliquie direttamente nella “sua” Padova. Per soddisfare e alimentare il culto dei devoti il frate commesso viaggiatore  porta con sé un busto di legno dorato, effigie di Antonio, con dentro una reliquia presa dalla cosiddetta “massa corporis” del santo portoghese fatto diventare padovano. Tale iniziativa fa venire in mente il detto “Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”.
Oltre che con i viaggi delle reliquie, il culto, la devozione e i legami, comprese le offerte, sono tenuti vivi col mensile Il Messaggero di S. Antonio, edito dall’omonima casa editrice dei Frati Minori Conventuali antoniani. Nato nel 1898 e inviato in ben 148 Paesi ai 520 mila abbonati, che pagano 23 euro l’anno in Italia e 27 all’estero, il Messaggero conta sette edizioni: in italiano, inglese, francese, tedesco, rumeno, polacco e in italiano per l’edizione speciale destinata agli italiani residenti all’estero.
Andrà a finire che prima o poi Lisbona chiederà alla basilica, ai frati antoniani e alla città di Padova una percentuale sul grande flusso di danaro prodotto in varie forme dal culto di S. Antonio detto “da Padova”, ma in realtà da Lisbona? Da Lisbona e con il portoghesissimo nome e cognome di  Fernando Martins de Bulhões y Taveira de Azevedo.
di Pino Nicotri

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