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Riesplode purtroppo la violenza nel nord della Siria

Combattimenti tra ribelli e jihadisti di Al Qaeda. Riesplode purtroppo la violenza nel nord della Siria

Damasco, 4. Violenti scontri nel nord della Siria tra combattenti legati ad Al Qaeda e fazioni ribelli. Secondo gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, i miliziani di Hayat Tahrir Al Sham, il ramo di Al Qaeda in Siria (precedentemente noto come Fronte al-Nusra), hanno lanciato una vasta offensiva contro i ribelli, conquistando terreno nel nord e nel nordovest della Siria. Iniziata nella provincia di Aleppo, la battaglia si è estesa alle aree periferiche della provincia nordoccidentale di Idlib, costringendo molti civili alla fuga. Al momento, diverse fonti locali affermano che in migliaia nella provincia di Aleppo stanno scappando a causa degli scontri.

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L’ultimo bilancio provvisorio dei combattimenti riportato dall’agenzia di stampa Dpa parla di almeno 48 morti: 24 combattenti di Hayat Tahrir Al Sham, diciotto ribelli e sei civili. Stando all’Osservatorio, Hayat Tahrir Al Sham ha strappato ai ribelli siriani del Fronte di liberazione nazionale (sostenuti dalla Turchia) il controllo di undici villaggi nelle aree alla periferia meridionale della provincia di Idlib. Una fonte dei ribelli ha confermato alla Dpa che il gruppo ha dichiarato lo stato di «massima allerta».

La battaglia tra qaedisti e ribelli siriani avviene in un momento di particolare tensione nel nord della Siria, proprio nell’area di Aleppo, al confine con la Turchia.

In effetti, dopo l’annuncio statunitense del ritiro delle truppe, le formazioni curde hanno deciso di cedere il controllo della città strategica di Manbij alle forze dell’esercito siriano del presidente Assad. Una decisione che ha ricevuto il plauso di Mosca, ma che non è piaciuta ad Ankara. I curdi, da sempre alleati degli Stati Uniti e della coalizione internazionale, hanno detto di aver preso questa decisione temendo una possibile offensiva turca contro Manbij e Kobane. Dopo la resa di Manbij ad Assad, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato un rinvio delle operazioni militari, ma non la loro cancellazione. E in queste ultime ore continua ad aumentare il flusso di mezzi e di soldati turchi in direzione del confine con la Siria. La posizione di Ankara — confermata dalle recenti dichiarazioni di molti ministri — è che l’offensiva nel nord della Siria sia fondamentale per distruggere le ultime sacche di resistenza jihadiste nella regione.

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E a sottolineare l’impegno della Turchia nella lotta contro il terrorismo è stato ieri Erdoğan stesso, durante la conferenza stampa congiunta con l’omologo iracheno Barham Salih, da ieri in visita ad Ankara. Va detto che, per fattori geografici, la cooperazione turco-irachena rappresenta un elemento cruciale per la stabilità del nord della Siria. Erdoğan ha detto che «la Turchia è pronta a rafforzare la cooperazione con l’Iraq nella lotta al terrorismo e nei settori della sicurezza, della difesa e delle infrastrutture». Il leader turco ha inoltre sottolineato la sua intenzione di «garantire l’unità politica e l’i ntegrità territoriale dell’Iraq», osservando che il principale obiettivo della politica turca è «assicurare il ritorno della stabilità e della sicurezza». Parlando al fianco di Salih, Erdoğan ha poi citato i principali gruppi terroristici che Ankara ritiene essere una minaccia: il sedicente stato islamico (Is), il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e l’organizzazione Fetö (Hizmet, fondata da Fethullah Gülen, in esilio volontario negli Stati Uniti). Obiettivi condivisi da Salih, che ha definito la Turchia «un paese fraterno».

Intanto, sul piano internazionale, da segnalare la presa di posizione del ministro degli esteri britannico, Jeremy Hunt, il quale ha lanciato nuove pesanti accuse a Damasco.

Hunt ha in particolare accusato il governo di Assad di aver fatto uso di armi chimiche contro aree nelle mani dei ribelli e ha chiesto alla Russia di «assicurare che l’esercito di Damasco non possegga questo tipo di armamenti». Sia la Siria che la Russia hanno sempre respinto queste accuse definendole «un complotto» e «un pretesto» per portare a termine un attacco al paese arabo.

L’Osservatore Romano, 4/5 gennaio 2019

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