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Papa Francesco: essere piccoli è una risorsa, conta una fede genuina. Le parole alla Chiesa di Mongolia

Nella cattedrale di Ulaanbaatar, davanti alla comunità ecclesiale, Francesco ripercorre le radici cristiane in questa terra dallo spiccato senso del sacro. Incoraggia a proseguire, in comunione e semplicità, l’impegno nella cura sanitaria, nella promozione culturale e della dignità delle persone. Rassicura inoltre i governi: “L’azione evangelizzatrice della Chiesa non ha un’agenda politica da portare avanti”, ma conosce solo la “disarmata e disarmante potenza del Risorto”

Antonella Palermo – Città del Vaticano per Vaticannews.va 

“Fratelli, sorelle, non abbiate paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della rilevanza che non appare. Non è questa la strada di Dio”

È il cuore del messaggio di Francesco alla piccola comunità di vescovi, sacerdoti, missionari, consacrati e consacrate e operatori pastorali presenti nella Chiesa in Mongolia. Piccola ma capace di esprimere tanto calore e affetto, capace di far “gustare e sentire” – le parole usate dal Papa fin da quando in areeo si apprestava a compiere questo 43.mo viaggio apostolico – intimamente la relazione comunitaria con Dio. Un Dio che spesso, dice il Papa, usa il linguaggio del sussurro. Nella cattedrale della capitale dedicata ai santi Pietro e Paolo, accolto con il saluto di monsignor José Luis Mumbiela Sierra, vescovo della diocesi della Santissima Trinità ad Almaty (Kazakhstan), presidente della Conferenza episcopale dell’Asia centrale, e dalle testimonianze di suor Salvia, don Peter Sanjaajav e Rufina, il Papa nel suo discorso scandisce che “la piccolezza non è un problema”. E invita a guardare a Maria la quale grandi cose ha compiuto nonostante il suo ‘anonimato’. Dio, sottolinea Francesco, ama la piccolezza.

Le antiche radici della fede “sussurrata” in Mongolia

La visita di Papa Francesco, in questa regione remota rispetto al mondo occidentale, è occasione per conoscere la storia dei semi della fede cattolica gettati qui dai pionieri dell’evangelizzazione. A questo proposito, il Pontefice ricorda il vescovo Wenceslao Selga Padilla, primo prefetto apostolico, costruttore di questa cattedrale. Va a ritroso alle esperienze del primo millennio, contraddistinte dal movimento evangelizzatore di tradizione siriaca che si diffuse lungo la via della seta. Ne nacque “un considerevole impegno missionario”: cita le missioni diplomatiche del XIII secolo, ma anche la cura apostolica di Giovanni da Montecorvino come primo presule di Khān Bālīq. E Francesco sottolinea una particolarità: “fu proprio lui a fornire la prima traduzione in lingua mongola del libro dei Salmi e del Nuovo Testamento”.

Nel 1992 arrivarono i primi missionari della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, a cui si sono aggiunti rappresentanti di altri istituti, clero diocesano e volontari laici. Il Papa ci tiene in particolare a ricordare l’attivo e zelante Padre Stephano Kim Seong-hyeon.

Facciamo memoria di tanti fedeli servitori del Vangelo in Mongolia, che sono qui con noi ora e che, dopo aver speso la vita per Cristo, vedono e gustano le meraviglie che la sua bontà continua ad operare in voi e attraverso di voi. Ma perché spendere la vita per il Vangelo? Proprio perché, come ricorda il Salmo 34, si è gustato, si è sentito il buon sapore, si è sperimentata nella propria vita la tenerezza dell’amore di Dio. Quel Dio che si è reso visibile, toccabile, incontrabile in Gesù.

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