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Papa Francesco è in volo verso l’Italia. Le ultime parole ai religiosi della Macedonia del nord: ‘Spendete la vita per amore!’

Papa Francesco vola verso l’Italia ed è atteso in serata in Vaticano al termine della tre giorni che lo ha portato prima in Bulgaria ed oggi nella Macedonia del Nord. Saluta il paese dopo
una breve cerimonia di congedo all’Aeroporto Internazionale di Skopje


L’aereo con a bordo il Santo Padre di ritorno dal Viaggio Apostolico in Bulgaria e nella Macedonia del Nord è decollato alle ore 18.30.
L’atterraggio all’Aeroporto di Roma-Ciampino è previsto per le ore 20.30.

L’INCONTRO CON I RELIGIOSI PRIMA DI LASCIARE IL PAESE

Nella Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Skopje, davanti ai sacerdoti e ai religiosi con le loro famiglie, dopo aver ascoltato testimonianze di vita segnate da varie difficoltà, il Papa esordisce rievocando l’immagine bella di San Giovanni Paolo II, di una Chiesa capace di respirare a due polmoni, l’Occidente e l’Oriente, il rito latino e quello bizantino, entrambi necessari per gustare e condividere la bellezza del Signore in mezzo alla gente.

Incoraggia i sacerdoti, che poco prima gli avevano manifestato il disagio di essere pochi e il rischio di cadere in qualche complesso di inferiorità, a fare come Maria Maddalena che con una libbra di nardo unse i piedi di Gesù, riempiendo tutta la casa di quel profumo e lasciando un’impronta inconfondibile.  “Fare i conti” con la realtà, con i mezzi che scarseggiano, le risorse precarie, il “bilancio in rosso” – ammonisce il Papa – non deve farci cadere nella tentazione di guardare troppo a noi stessi, e chiuderci in un silenzio segnato da sottile frustrazione, che impedisce l’ascolto di Dio.

Fare i conti solo per diventare più solidali

Fare i conti – prosegue il Pontefice, è invece sempre necessario “quando ci può aiutare a scoprire e ad avvicinare tante vite e situazioni”, segnate dalla stessa precarietà che spesso vive la Chiesa:

Famiglie che non riescono ad andare avanti, persone anziane e sole, ammalati costretti a letto, giovani intristiti e senza futuro, poveri che ci ricordano quello che siamo: una Chiesa di mendicanti bisognosi della Misericordia del Signore. È lecito “fare i conti” solo se questo ci permette di metterci in movimento per diventare solidali, attenti, comprensivi e solleciti nell’accostare le stanchezze e la precarietà da cui sono sommersi tanti nostri fratelli bisognosi di una Unzione che li sollevi e li guarisca nella loro speranza. È lecito fare i conti solo per dire con forza e implorare col nostro popolo: “Vieni Signore Gesù!”.

La storia la scrive chi spende la vita per amore

Francesco insiste sull’immagine di Madre Teresa, segno concreto di come la precarietà di una persona unta dal Signore, sia stata capace di impregnare tutto col profumo delle beatitudini.

Quanti vennero tranquillizzati dalla tenerezza del suo sguardo, confortati dalla sua carezza, sollevati dalla sua speranza e alimentati dal coraggio della sua fede capace di far sentire ai più dimenticati che non erano dimenticati da Dio! La storia la scrivono queste persone che non hanno paura di spendere la loro vita per amore: ogni volta che lo avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avrete fatto a me

Fare memoria della prima chiamata

Il Papa mette in guardia i religiosi da un’altra tentazione, quella del carrierismo che indurisce il cuore, alimentata dalla fantasia che l’essere forti, potenti e influenti possa far “quadrare i conti”. E riprendendo la testimonianza di padre Davor, della diocesi di Sarajevo, aggiunge che ciò che salva dal carrierismo è sempre il fermarsi per tornare alla prima vocazione, alla memoria della prima chiamata, del primo sguardo con Gesù che è – afferma il Santo Padre – un sacramentale! La memoria ti salverà, ripete il Pontefice, l’andare a cercare il Signore risorto lì dove poteva essere incontrato, lasciando le vie sicure e abbassandosi alla vita quotidiana dei propri fratelli, per ungerli ancora con il profumo dello Spirito.

Molte volte spendiamo le nostre energie e risorse, le nostre riunioni, discussioni e programmazioni per conservare approcci, ritmi, prospettive che non solo non entusiasmano nessuno, ma che sono incapaci di portare un po’ di quell’aroma evangelico in grado di confortare e di aprire vie di speranza, e ci privano dell’incontro personale con gli altri. Come sono giuste le parole di Madre Teresa: “Ciò che non mi serve, mi pesa”. Lasciamo tutti i pesi che ci separano dalla missione e impediscono al profumo della misericordia di raggiungere il volto dei nostri fratelli.

Tenerezza, pazienza e compassione

Ringrazia padreGoce, sacerdote di rito bizantino, la moglie Gabriella, e i figli Filip, Blagoj, Luca, Ivan, per aver condiviso le gioie e le preoccupazioni del ministero e della vita familiare. Il richiamo del Pontefice dopo aver ascoltato la loro testimonianza segnata dalla perdita dolorosa di una figlia, a soli 14 giorni dal parto, è quello di recuperare le dimensioni della tenerezza, della pazienza e della compassione verso gli altri. Richiama le famiglie e anche le suore e i religiosi tutti alla tenerezza: mai sgridare, esclama, acqua benedetta, mai aceto!    

Così date viva testimonianza di come “la fede non ci allontana dal mondo, ma ci introduce più profondamente in esso”. Non a partire da quello che a noi piacerebbe fosse, non come “perfetti” o immacolati, ma nella precarietà delle nostre vite, delle nostre famiglie unte ogni giorno nella fiducia dell’amore incondizionato che Dio ha per noi. Fiducia che ci porta, come bene ci hai ricordato, Padre Goce, a sviluppare alcune dimensioni tanto importanti quanto dimenticate nella società usurata dalle relazioni frenetiche e superficiali: le dimensioni della tenerezza, della pazienza e della compassione verso gli altri.

Icone della famiglia di Nazareth

Nelle battute finali del suo discorso, Francesco invita le famiglie ad essere “icona della famiglia di Nazareth” con la sua quotidianità fatta di stanchezze, “incubi” e di violenza la stessa subita dal re Erode. Esperienza – afferma il Papa – “che tragicamente si ripete in tante famiglie di profughi, miserabili e affamati”. Le famiglie, conclude, sono capaci per mezzo della fede accumulata attraverso le lotte quotidiane, di trasformare “una grotta di animali, nella casa di Gesù con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza”.

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