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Papa Francesco dal Kazakhstan: pace e convivenza si conquistano giorno per giorno

Papa Francesco presiede la Messa nella capitale kazaka, in chiusura della seconda giornata del viaggio apostolico, incontrando i cattolici del Paese e di varie altre parti dell’Asia. Nell’omelia la riflessione sulla croce di Cristo, richiamo alla fraternità tra realtà etniche e religiose diverse

Adriana Masotti – Città del Vaticano per Vaticannews.va 

La radicale differenza tra la logica di Dio e la logica del mondo emerge con forza nelle parole di Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata all’Expo Grounds di Nur-Sultan, nella festa dell’Esaltazione della S. Croce. Da “patibolo di morte” la croce, afferma il Papa, diventa con Cristo, strumento di salvezza per tutti. E, in questa terra, si fa motivo di incoraggiamento e di richiamo a crescere nella fraternità “perché dalla Croce di Cristo impariamo l’amore non l’odio”.

I serpenti che uccidono e il serpente che salva

La celebrazione eucaristica, davanti a circa seimila persone, è in latino e in russo. Le preghiere dei fedeli sono lette in russo e in kazako. La liturgia, presieduta da Francesco ha come celebrante il vescovo diocesano, arcivescovo di Maria Santissima in Astana, monsignor Tomasz Peta. Primo concelebrante è il presidente della Conferenza episcopale dell’Asia centrale, monsignor José Luis Mumbiela Sierra, vescovo della Santissima Trinità in Almaty.

Il secondo è il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia, mentre il terzo è l’ausiliare della capitale, monsignor Athanasius Schneider. La prima lettura tratta dal Libro dei Numeri presenta Mosè a cui il Signore promette la salvezza dal morso dei serpenti, mandati da Dio stesso nel deserto, a chiunque guarderà il serpente di bronzo posto in alto su un’asta. Il brano del Vangelo di Giovanni parla di Gesù che ai suoi rivela che, allo stesso modo, “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.

Sfiducia e mormorazione portano alla morte

Francesco pronuncia l’omelia in italiano e commenta le letture appena ascoltate cominciando dall’immagine dei serpenti che mordono gli israeliti caduti nella mormorazione contro Dio e contro Mosè. Il popolo in cammino verso la terra promessa è stanco, ha perso la speranza, non ha più fiducia in Dio. Così va incontro alla morte. Il Papa invita a guardare alla propria storia personale e comunitaria e afferma:

Quante volte, sfiduciati e insofferenti, ci siamo inariditi nei nostri deserti, perdendo di vista la meta del cammino! Anche in questo grande Paese c’è il deserto che, mentre offre uno splendido paesaggio, ci parla di quella fatica, di quella aridità che a volte portiamo nel cuore. Sono i momenti di stanchezza e di prova, nei quali non abbiamo più le forze per guardare in alto, per guardare verso Dio.

In questa terra non sono mancati i morsi dei serpenti

In questi momenti di buio a livello personale, ecclesiale e sociale veniamo, osserva Francesco, “morsi dal serpente della sfiducia” che ci porta al pessimismo, alla rassegnazione e alla chiusura in noi stessi. Il Papa guarda quindi al Kazakhstan affermando che in questa terra “non sono mancati morsi dolorosi”.

Penso ai serpenti brucianti della violenza, della persecuzione ateista, a un cammino a volte travagliato durante il quale è stata minacciata la libertà del popolo e ferita la sua dignità.

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