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Medjugorje. Le parole di Mons. Hoser, inviato di Papa Francesco: “Qui la Madonna è Madre della famiglia! “

Hoser: “A Medjugorje si torna alle radici della famiglia”

«Crisi della famiglia terribile, urgente è tornare al progetto di Dio, al modello della Sacra Famiglia: è per questo che tante famiglie vengono a Medjugorje». Alla vigilia dell’Incontro Internazionale di Dublino, La Nuova BQ intervista Henryk Hoser, visitatore apostolico permanente nella parrocchia di Medjugorje. “Tutti fanno convegni su famiglia o bietica, ma nelle parrocchie non si fa nulla. Mancano preti esperti di spiritualità famigliare”. E sull’omosessualità nel clero dice: “Inaccettabile, ma alcuni vesovi “ci giocano” e giustificano”.

«In questa terribile crisi della famiglia, ciò che più è urgente è tornare alle radici, al progetto di Dio, al modello della Sacra Famiglia: è per questo che tante famiglie vengono a Medjugorje». Così ci dice l’arcivescovo polacco monsignor Henryk Hoser, che il 31 maggio scorso è stato nominato da papa Francesco visitatore apostolico permanente nella parrocchia di Medjugorje. È un incarico esclusivamente pastorale che mette in rilievo la preoccupazione della Santa Sede per la cura dei milioni di pellegrini che arrivano in questa cittadina dell’Erzegovina dove la Madonna apparirebbe da ben 37 anni. E monsignor Hoser vive con molta sollecitudine il suo incarico, vivendo a stretto contatto con i sacerdoti locali e i pellegrini. Ogni mattina concelebra la messa in croato alle 7.30 nella chiesa parrocchiale di San Giacomo ed è proprio all’uscita della messa che gli andiamo incontro per salutarlo. Diffidente all’inizio, quando gli dico che sono giornalista («Non parlo di Medjugorje», mette subito le mani avanti), diventa disponibile quando gli chiedo di parlare del tema famiglia. Proseguiamo la nostra conversazione in una sala della casa parrocchiale, una stanza grande ma spartana, solo due tavoli ed alcune sedie per poter parlare con tranquillità.

Monsignor Hoser, in effetti una delle cose che più colpisce qui a Medjugorje è proprio la grande quantità di famiglie unite che vengono in pellegrinaggio. E la mente corre subito a Dublino, dove nei prossimi giorni si svolgerà l’Incontro mondiale delle Famiglie, un appuntamento triennale voluto da san Giovanni Paolo II nel 1994. Qui a Medjugorje non c’è nessuna convocazione ufficiale, eppure tante famiglie accorrono spontaneamente. Qual è il motivo?
Vengono perché qui si ritorna alle radici della famiglia. Il culto mariano che si svolge qui è basato sulla figura della Madonna madre che si occupa delle famiglie. Senza neanche tematizzarlo, la gente viene qui per ascoltare, conoscere non soltanto la vocazione ma anche la missione della famiglia. Impara come vivere in questo tempo in cui la crisi delle famiglie è terribile. Sono rimasto scioccato qualche giorno fa quando ho letto che, secondo i dati Eurostat, in Irlanda il 70% dei bambini nasce fuori dal matrimonio. Il 70%! incredibile se uno ha in mente una certa immagine dell’Irlanda cattolica.

Ecco, i bambini. Sono le prime vittime di questa crisi. È una cosa terribile. Pensiamo soprattutto al fenomeno della pedofilia, non solo dei preti, ma anche nella società civile. La santità e la sacralità dei bambini così terribilmente violata. Il Signore dice molto chiaramente la gravità di questo peccato, è anche il peggior peccato che oggi domina la società. «È il segno più chiaro della rottura del legame con Dio. Oggi vediamo una società solo orizzontale, che vuol dire senza orientamento, senza una direzione. L’unico denominatore comune sembra soltanto l’economia, il proprio interesse.

Se in questo quadro drammatico, tanti vengono a Medjugorje vuol dire che qui c’è un messaggio valido anche per chi si incontrerà a Dublino nei prossimi giorni. Quale è?
Riproporre il modello della Sacra Famiglia, meditare sui fattori per una vita sana e santa della famiglia. Cominciando dalla maternità della madre di Dio che è nostra madre, ed è anche la regina della pace. Bisogna cominciare con la pace interiore, la pace del cuore, «aprite il cuore a Dio». Qui sta il nodo della questione. La divisione delle coppie nasce proprio dalla divisione del cuore, ci si accusa reciprocamente e ci si allontana. Così è anche nella società oggi: tutti accusano tutti, è l’opera del Diavolo, il maestro delle accuse. Ricordiamo l’inizio: Adamo accusa Eva e insieme accusano Dio. Ecco, la Madonna, regina della pace, ci aiuta a ricostruire l’unità del cuore, e poi l’unità con gli altri, nella famiglia, nella società, nei rapporti internazionali. Senza questa figura materna abbiamo costruito la Torre di Babele, con un grande sforzo economico e tecnologico, ma ci siamo persi. Il cardinale Lustiger diceva che il contrappeso alla Torre di Babele è la Pentecoste, quando scende lo Spirito Santo e tutti comprendevano nelle proprie lingue quanto diceva San Pietro.

Nella Sacra Famiglia c’è poi Giuseppe…
È una figura importantissima in questa società che, con la Rivoluzione francese, ha ucciso il padre, la paternità di Dio padre. A Giuseppe è affidata la responsabilità della donna e del bambino. Per questo scopo l’arcangelo si indirizza a Giuseppe: «Prendi la moglie e il bambino e vai in Egitto», e poi dovrà prendere i due e tornare a Nazaret. Questa è la sua responsabilità. E poi ha la responsabilità di proteggere la Madonna durante la gravidanza, quindi è testimone della nascita di Gesù. E per tanti anni è educatore dell’umanità di Gesù. Non per niente nel canone della messa dobbiamo menzionare san Giuseppe prima degli apostoli.

E poi il figlio…
Il momento più commovente è l’episodio di Gesù a 12 anni, quando i suoi genitori lo cercano e la Madonna dice «Io e tuo padre eravamo tanto preoccupati, ti abbiamo cercato con angoscia», e il figlio mostra la sua prospettiva della vita, fare la volontà del Padre. E questa diventa la prospettiva della vita di Maria e Giuseppe, che lo hanno scoperto non soltanto figlio dell’uomo ma anche figlio di Dio.

San Giovanni Paolo II era fermamente convinto che intorno alla famiglia si gioca la battaglia ultima tra Dio e il diavolo. Per questo ha voluto creare un Pontificio consiglio della Famiglia, un Istituto di Studi sulla famiglia e anche questi Incontri mondiali. Non crede che oggi nella Chiesa tale consapevolezza si sia affievolita?
Sì, certamente. Ma soprattutto abbiamo perso la consapevolezza dell’inizio, del progetto creatore di Dio. Gesù richiama sempre l’inizio nelle sue discussioni con i farisei. Ad esempio quando viene interrogato sul divorzio. Torniamo sempre al solito punto: la rottura dell’alleanza con Dio, così non siamo più capaci di avere una comprensione sintetica della realtà. Tutto è frammentato, come in un mosaico con le tesserine fuori posto. Questo è il problema oggi di vivere la famiglia, la sua prospettiva esistenziale, ontologica, metafisica. Bisogna riparare tutto questo, per questo i fedeli frequentare i grandi luoghi mariani: attraverso l’umanità di Maria e Gesù ritroviamo il progetto di Dio.

Ma questi incontri mondiali servono davvero? Qualcuno lo mette in dubbio.
Il vero problema è che manca drammaticamente il lavoro alla base della Chiesa. Quello che si fa nelle parrocchie, nelle singole comunità, è più importante di quel che si fa nei congressi, perché nei congressi sono tutti convinti. Ci sono tantissimi congressi nel mondo in cui si parla di famiglia, di bioetica, di metodi naturali, ma a livello delle parrocchie non si fa niente. Questo è tragico, anche i preti non sono ben formati per la pastorale familiare. Non si tratta solo di avere belle idee psicologiche, di insegnare il dialogo, ma si deve capire la spiritualità familiare, e anche la somatica familiare, cioè il nostro corpo. Io sono medico, bioetico, conosco perfettamente la biologia della coppia, che non è secondaria, è importante nella relazione.

L’incontro di Dublino è accompagnato anche dalle notizie sconvolgenti sugli abusi sessuali compiuti nel tempo da preti e anche vescovi, e dalle polemiche per la partecipazione all’incontro mondiale delle famiglie di personalità che spingono per la promozione dell’agenda Lgbt nella Chiesa.
Questa vicenda dei preti che hanno commesso abusi sessuali è uno scandalo enorme. Chi ha commesso questi atti deve essere ridotto immediatamente allo stato laicale, deve essere prontamente allontanato dal ministero.

Ci sono alcuni che ne approfittano per “normalizzare” l’omosessualità.
Questo non può essere accettato dalla Chiesa. Purtroppo ci sono alcuni vescovi che giocano su questo, dicono un po’ sì e un po’ no. Giustificano, in fondo anche loro sono creati da Dio così. Ma questo non è vero, Dio non ha creato l’uomo omosessuale. La Chiesa non potrà mai accettare questo indirizzo, bisogna lottare contro. Io ho parlato più volte in modo netto contro l’ideologia gender. Le principali vittime sono i giovani, anche perché tutti i media sono erotizzati: le pubblicità, internet, tutti pieni di erotismo. Poi questa convinzione terribile che tutti devono praticare sesso, tutti senza eccezioni. Perché fa bene, agisce contro la depressione, e via dicendo. Il sesso ridotto ad attività sportiva e igienica. Così questi giovani non sono educati alla castità, e questo è una catastrofe: senza controllo delle pulsioni non è possibile la fedeltà. E la fedeltà è il metro del vero amore. Per questo trovo interessante, ad esempio, l’iniziativa dell’associazione Cuori Puri

Davanti a questa situazione purtroppo molto spesso i pastori invece di annunciare la verità si rifugiano nel “politicamente corretto”. E le famiglie non trovano un punto di riferimento, un aiuto. Cosa può fare una semplice famiglia che cerca una guida?
È vero, ci troviamo nel deserto. E allora bisogna rivolgersi a Dio, perché solo lui può intervenire. Il mio motto episcopale è “Dio è più grande”: dobbiamo pregare perché Dio intervenga nella situazione. Le apparizioni del XIX e XX secolo sono chiaramente un esempio di questo intervento di Dio, soprattutto Fatima. Mi piace molto una riflessione sulla vita di Mosè: è vissuto 120 anni, vale a dire tre volte 40. Quaranta, come sappiamo, è una cifra simbolica, non indica gli anni cronologici ma il kairos, il tempo del compimento di qualcosa. Allora i suoi primi 40 anni erano di scuola: Mosè era alla scuola del Faraone, ha imparato scienza, arte e altro. Nei secondi quaranta è diventato rivoluzionario, voleva mettere a frutto le sue idee e su queste e voleva cambiare il mondo. Così ha perso tutto. Allora ecco l’intervento di Dio, l’incontro con Dio e gli ultimi 40 anni la sua missione. Oggi ci troviamo come Mosè alla fine dei suoi secondi 40 anni, siamo nel deserto. Dobbiamo invocare l’intervento di Dio.

Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana

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