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Madonna del Tindari: la Vergine venuta dal mare

La Madonna del Tindari tra storia e leggenda-. Circa l’origine del culto alla Madonna del Tindari, rimontando esso a tempi molto remoti, non si trovano notizie storiche ben definite e criticamente accertate. Esiste però una pia tradizione che non contenendo, almeno sotto l’aspetto dell’ortodossia, alcunché d’inverosimile e di contraddittorio, possiamo accettare senz’altro, tanto più che si presenta su sfondo storico. L’origine della devozione alla Madonna Bruna sembra infatti risalire al periodo della persecuzione iconoclasta. Secondo la tradizione, una nave di ritorno dall’Oriente, tra le altre cose, portava nascosta nella stiva un’Immagine della Madonna perché fosse sottratta alla persecuzione iconoclasta. Mentre la nave solcava le acque del Tirreno, improvvisamente si levò una tempesta e perciò essa fu costretta ad interrompere il viaggio ed a rifugiarsi nella baia del Tindari, oggi Marinello. Quando si calmò la tempesta, i marinai decisero di riprendere il viaggio: levarono l’ancora, inalberarono le vele, cominciarono a remare, ma non riuscirono a spostare la nave. Tentarono, ritentarono, ma essa restava ferma lì, come se fosse incagliata nel porto. Essi allora pensarono di alleggerire il carico, ma , solo quando, tra le altre cose, scaricarono la cassa contenente il venerato Simulacro della Vergine, la nave poté muoversi e riprendere la rotta sulle onde placide del mare rabbonito. Sono sconosciuti i luoghi di provenienza e di destinazione dell’Immagine sacra. Partita la nave che aveva lasciato il carico, i marinai della baia di Tindari si diedero subito da fare per tirare in secco la cassa galleggiante sulla distesa del mare. Fu aperta la cassa e, con grande stupore e soddisfazione di tutti, in essa fu trovata la preziosa Immagine della Vergine.

Sorse il problema ove collocare quell’Immagine. Si decise di trasportare il Simulacro della Vergine nel luogo più alto, il più bello, al Tindari, dove già da tempo esisteva una fiorente comunità cristiana. La tradizione che fa arrivare la statua della Madonna a Tindari all’epoca degli iconoclasti, probabilmente verso la fine del secolo VIII o nei primi decenni del secolo IX, trova motivo di credibilità nel fatto che Tindari fu sotto la dominazione dei Bizantini per circa tre secoli (535-836); che la Sicilia si oppose con energia all’eresia degli iconoclasti; che a Tindari, essendo stata sede di diocesi per circa cinque secoli, fosse fiorente la professione della fede cristiana, e quindi facile l’accoglienza della sacra immagine. Detta ipotesi, oltre che nel contesto storico, trova ancora una qualche consistenza in un’ininterrotta tradizione pressoché unanime. Il colle del Tindari, così suggestivo, santificato dalla presenza della Madonna, divenne così il sacro, mistico colle di Maria. S’ignora l’autore dell’Immagine, né è possibile definire l’epoca in cui fu scolpita. Considerando lo stile e tenendo conto che la Madonna tiene tra le braccia il divin Bambino, si potrebbe concludere che essa rimonti ad un’epoca posteriore al Concilio di Efeso in cui fu definita la divina maternità di Maria; quindi probabilmente la statua è stata scolpita in Oriente tra il quinto e il sesto secolo. La Madonna è rappresentata seduta, mentre regge in grembo il Figlio divino, che tiene la destra sollevata, benedicente. Ella inoltre porta in capo una corona di tipo orientale, una specie di turbante, ricavato nello stesso legno, decorato con leggeri arabeschi dorati. Migliaia e migliaia di fedeli sono passati dinanzi alla Vergine pietosa, che per tutti ha avuto un sorriso ed una grazia.

L’antico Santuario-. Fra le tante, l’ipotesi maggiormente suffragata dalla tradizione popolare e dalle affermazioni di alcuni autori antichi, è che la chiesa sia rimasta tra le rovine della città distrutta. Secondo tale ipotesi, la chiesa poté essere costruita nel periodo in cui Tindari fu sede di diocesi. Non è facile però pretendere di conoscere se essa sia stata o meno tempio pagano trasformato in tempio cristiano, anche perché non è in alcun modo possibile un esame reale della situazione, in quanto la precedente chiesa andò distrutta nel 1544. Le notizie, sia pur frammentarie, che si hanno sull’antica diocesi di Tindari, sono sufficienti a dare la certezza della sua esistenza. Ora, essendo stata Tindari sicuramente sede di diocesi per alcuni secoli, è logico ritenere che in essa vi siano state delle chiese. Sembrerebbe pertanto alquanto probabile, e si legge anche in qualche modo nelle testimonianze di antichi scrittori, che fra le pochissime case risparmiate dalla distruzione degli Arabi, vi sia stata anche la chiesa, ove, probabilmente, sarebbe già stata portata la Statua della Madonna, nel ricostruì ampliandolo e annettendovi dei locali per l’alloggio del personale addetto al culto. Sulla bugna-chiave del portale d’ingresso troviamo scolpito l’anno 1598, forse l’anno di completamento del portale stesso.

Il tempio, attraverso questi quattro secoli di vita, ha avuto vari restauri, ma sostanzialmente è rimasto lo stesso, così come oggi si vede, nella sua semplicità. L’antico, piccolo Santuario è di capacità assai limitata, perciò non poteva più contenere le folle dei pellegrini sempre crescenti, essendosi incrementata a dismisura la devozione alla Madonna bruna. Esso ha il pregio dell’antichità, e stato costruito sui ruderi del primo Santuario, contiene tanti cari ricordi dei secoli passati. Perciò è stato risparmiato contro ogni progetto di ampliamento ed oggi è gelosamente custodito. Per ben quattro secoli migliaia e migliaia di fedeli, dimentichi delle preoccupazioni della vita, hanno elevato la loro mente ed il loro cuore al Signore e si sono rivolti a Colei ch’è “la Madre nostra, la Fiducia nostra”. Dal canto suo qui, in questo tempio, la dolce Vergine del Tindari, sensibile a tutte le preghiere ed ai gemiti dei figli, ha profuso a piene mani i tesori delle sue grazie.

Il nuovo Santuario-. La costruzione del nuovo Santuario della Madonna del Tindari ha costituito il programma principale dell’episcopato di S.E. Mons. Giuseppe Pullano (1953-1977). Nel 1953, il Santuario esistente era diventato incapace di accogliere i pellegrini. Si erano anche fatti diversi progetti che, oltre a prevedere la distruzione della vecchia chiesa, non avrebbero offerto una soluzione adeguata. Mons. Pullano individuò come soluzione più idonea la costruzione della nuova chiesa nella villa del Santuario, che previde lo sbancamento della roccia e la demolizione di alcuni locali, ma lasciò intatta l’antica chiesetta. Il giorno 8 dicembre 1957 viene posta la prima pietra, proveniente dalle antichità greco-romane, già benedetta da Papa Pio XII il 30 dicembre 1956. Nel pomeriggio del 6 settembre 1975, Mons. Pullano benedice l’interno del nuovo Santuario e il trono della Madonna. L’Icona della Madonna viene così portata nel nuovo Tempio e collocata dal Vescovo sull’artistico, prezioso trono, posto sotto l’arco centrale del nuovo Tempio. Subito dopo celebra la prima S. Messa sul nuovo altare del Santuario e rivolge la sua calda e appassionata parola ai numerosi devoti convenuti per l’occasione. Il giorno dopo ha luogo la solenne concelebrazione presieduta da S. Em.za il Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo, il quale nella omelia definisce il Santuario “maestosa Basilica e anticamera del Paradiso”. Il 1° maggio 1979 viene solennemente consacrato il nuovo Santuario da S. Em.za il Cardinale Salvatore Pappalardo, assistito dal nuovo Vescovo di Patti S. E. Mons. Carmelo Ferraro e da tutti i Vescovi di Sicilia. All’omelia il Card. Pappalardo ebbe un particolare ricordo per Mons. Pullano: “L’8 settembre del 1975, festa della Natività di Maria, un gruppo di Vescovi qui presenti avemmo la gioia di celebrare la prima Messa solenne in questo Santuario che proprio in quel giorno veniva aperto ai fedeli. Era con noi, ed era raggiante, il venerato Mons. Pullano, di santa memoria, che vedeva così raggiunta una prima meta del suo impegno di innalzare un nuovo e splendido tempio in onore di Maria; egli pregustava già il giorno in cui ne avrebbe fatto la solenne dedicazione”. Illustrò quindi il significato della cerimonia ed evidenziò la Dedicazione del nuovo tempio come punto di lancio per nuove mete: “Avanti con fiducia, verso l’avvenire di questo Santuario. L’invocazione “Madre Mia, Fiducia Mia”, che il vescovo innalza e alla quale tutti noi facciamo coro, ci dia il santo ardimento che accompagna le opere benedette da Dio e protette da Maria”.

Fatti eccezionali-. Un fatto “eccezionale” che mi ha sempre colpito è il seguente: Una signora, avendo la bambina gravemente ammalata si rivolge alla Madonna del Tindari, facendo voto per la guarigione della figlia. Ottenuta la grazia si reca al Tindari, per ringraziare la Madonna, ma vistala bruna in faccia resta delusa ed esclama: “Sono partita da lontano per vedere una più brutta di me”. E parte in cerca della sua bella Madonna Miracolosa.Nel frattempo la bambina incustodita precipita dalla cima del colle.La madre torna a pregare: “Se siete voi la miracolosa Vergine che per la prima volta mi avete salvata la figlia, salvatela una seconda volta”. Per miracolo della Madonna la bambina precipitata, si trova tranquilla che gioca su un piccolo arenile formatosi improvvisamente nel mare sottostante. Un marinaio che era corso a prendere la bambina la restituisce sana e salva alla madre. Essa commossa ringrazia la Madonna esclamando: “Veramente voi siete la gran Vergine miracolosa”.

L’arrivo della statua a Tindari è avvolto da un alone di pie cronache. L’abate Spitaleri nel 1751 accenna alla «Immagine miracolosissima di Maria santissima con stupendo portento venuta dall’Africa». Diffusa è la convinzione che il simulacro della Madonna sia un assemblaggio di legni e stoffe e che siano originali solo alcune parti. Totalmente perduta è la memoria della forma medievale. Sono invece leggibili nella stessa immagine le vicende che si sono susseguite nei secoli, gli interventi inevitabili, diligenti ed intelligenti talvolta, disastrosi e privi di ogni gusto tal’altra. La Madonna del Tindari si presenta coperta da un piviale di seta bianca, su cui fiorisce un ricamo d’oro e coronata da un diadema barocco in oro, adorno di pietre e di volute che si spingono in alto per tenere un piccolo mondo sovrastato da una croce. Essa tiene in grembo, secondo un modulo bizantino, il Bambino vestito con tunica candida e con sul capo una corona regia. Fin dai primi dell’ottocento la Madonna è ricordata con veste rossa scintillante, trapuntata di stelle e mantello blu che scende direttamente da sotto il copricapo, avvolgendo le spalle e l’intera persona e inglobando il trono. D’oro le scarpe. La Madre stringe con la sinistra a se il Figlio, posto sulle ginocchia e e con la destre sorregge un giglio d’argento. Una dicitura, incisa sul basamento della statua, recita: “Nigra sum sed formosa”. Ripresa dal Cantico dei Cantici l’espressione significa la bellezza di Maria nel colore brunito del viso.

Sotto il manto ottocentesco è una struttura lignea. Da un’ampia fessura preesistente, sulla parte posteriore del simulacro, appare il blocco ligneo scavato in legno di cedro in cui sono inseriti elementi estranei con funzione di puntellatura. Ai lati si constata, eseguiti alcuni tagli, la presenza di un tronetto. Fatiscente la struttura lignea, mancante di diverse parti, ridotta spesso , per l’azione di termiti e tarli e per mancanza di cure, ad ammasso di polvere. Là dove resta ancora, il pigmento pittorico è fragilissimo, perché staccato dalle pareti del legno. I primi sondaggi riguardano il manto blu su cui si registrano cinque strati di colori. Altrettante sovrapposizioni cromatiche si riscontrano sulla veste della Vergine, sull’abito di Gesù e sui visi della statua. Dopo accurate ripuliture, gli occhi, come ipotizzato, risultano aperti, sebbene da secoli occultati da stratificazioni di colori e vernici, da incrostature di fumo e polvere. La loro forma non appartiene alla cultura latina né a quella bizantina. Si qualifica come mediorientale (siriana o palestinese).Lo stesso segno cromatico è di chiara matrice araba. Ricorda per la linea e l’energia il kajal, che le donne egizie o assire utilizzano come cosmesi. Il disegno del copricapo, scolpito nel blocco ligneo, testimonia la preesistente tradizione ellenistica delle regioni meridionali. Sulla parte alta si trovano tracce di lacche rosso-arancione. In alcuni tratti manca il rilievo ornamentale, rovinato probabilmente dalla forzata sovrapposizione di nuovi diademi di ottone e d’oro. Esaurita l’analisi delle ridipinture degli ultimi due secoli, l’equipe dei restauratori scopre, sotto la “camicia” della Madonna, una tavola lignea a finte pieghe, il cui azzurro-lapislazzuli è almeno trecentesco. E’ evidente che gli abiti di tela sono tardive sovrapposizioni, che occultano un’architettura di notevole interesse, ben articolata con superfici intagliate e con decoro di lacche policrome.

Il manto medievale della Madonna, che non è secondo il canone di Bisanzio, ma della tradizione latina, si presenta rosso con decorazioni a stelle d’oro medievali. Sorprendente si rivela il rilievo scultoreo dell’abito del Bambino. Si tratta di modellazione bizantina, tipicizzata dalla forma “a greca”, accesa da lacce rosa e rosse. La mano destra della Madonna è ricoperta di materiale terroso, con aggiunte nelle dita di fil di ferro, gesso, colori. Non è originale. La fattura è seicentesca, con interventi ottocenteschi che ne snaturano la forma medievale, “dovendo” ora stringere un giglio. Della sinistra, nascosta dalla cappa di tela, vengono recuperate quasi tutte le parti, eleganti nella composizione romanica. Benché ingrossate da stucchi e vernici, le mani del Logos sono originali. La testa è ingrandita da folta capigliatura e grossolane treccine di calce, cera e colori bituminosi. Disperata è la condizione della struttura sconnessa e fradicia, mancante di non pochi pezzi, tenuta in piedi da assi e tavole in maniera rozza. Lo strato di preparazione della pittura non aderisce al legno, divenuto cavernoso e secco per l’azione di termiti, tarli tarme che formano infiniti cunicoli e caverne. a cura di Emanuela Graziosi

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