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L’uomo che nel lager pregava con un Rosario di molliche di pane

«L’uomo della speranza»: questo fu Ladislao Bukowiński per i suoi compagni di prigionia nei lager sovietici e per i cattolici del Kazakhstan, tra i quali, dal 1956 fino alla morte nel 1974, egli fu apostolo della fede. A tracciarne il ritratto e a proporlo come esempio per tutti i cristiani è stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, che domenica 11 settembre, nella cattedrale di Karaganda, ha presieduto a nome del Papa la messa per la beatificazione del sacerdote.
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Attraverso i dolorosi passaggi della biografia di Bukowiński — i processi, le detenzioni, i lavori forzati nelle miniere di rame, le messe clandestine e gli aiuti ai più poveri nei villaggi kazaki — il porporato ha ripercorso nell’omelia i tratti caratteristici della spiritualità del nuovo beato: sacerdote dalla fede «profonda, solida, incrollabile, come quella di Abramo» e «missionario coraggioso di Cristo nei vasti territori dell’Europa orientale, dove allora regnava un’ideologia repressiva, che cercava di estirpare dal cuore dell’uomo ogni sentimento religioso».

I processi e i lager, ha spiegato il cardinale Amato, diventavano per lui i pulpiti da quali non si stancava mai di educare «all’amore di Dio e alla riconciliazione con il prossimo», ripetendo spesso: «La fede spezza i muri».




Sono numerosi gli aneddoti ricordati dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi per descrivere lo spessore interiore di quest’uomo che fu perseguitato da nazisti e comunisti e che, «in mezzo a un popolo umiliato e oppresso», non si stancò mai di portare speranza, serenità e consolazione.

Quando, ad esempio, nel 1940 fu imprigionato a Łuck e il giudice inveì contro di lui urlandogli che in quel luogo era proibito pregare, lui rispose: «Si calmi. In futuro pregherò in modo che lei non se ne accorga». E, nonostante le proibizioni, trovava davvero ogni modo per rendere lode a Dio. «Durante la prigionia — ha ricordato il cardinale Amato — il suo rosario era fatto di palline di pane legate con lo spago e con una croce di filo di ferro».




L’Osservatore Romano 

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