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La storia di Medjugorje. La guerra incombeva…. siamo sotto coprifuoco!

Vigilia di Pasqua ’92: La situazione è particolarmente difficile, la guerra incombe anche a Medjugorje, siamo sotto coprifuoco, si viaggia a fari spenti …..

 

Quanto a me… ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede, dice S.Paolo (2 Tim 4,7).

Io invece non avevo combattuto la mia battaglia, avevo terminato la mia corsa, come chi non ha più niente da dare né da ricevere.

La fede era una luce lontana dalla mia realtà fatta di egoismo, denaro, presunzione, arroganza, litigiosità. Senza avere i “calli alle mani” avevo avuto tutto e avevo perso tutto, la mia rabbia era incontrollata, profonda: tutto mi era dovuto, ma non ottenevo più nulla: come chi non vive la vita ma si lascia vivere dalla vita.

E’ arrivato così, il primo viaggio: un container, un camion, il mio di autotrasportatore di Baraggia di Viggiù (Va), poi il secondo, il terzo etc… Io accampavo scuse per non andare al confine di Pese; poi giù lungo la costa e ancora fino in Bosnia, e il container si riempiva mio malgrado.

Medjugorje era vigilia di Pasqua del ’92,

Ripartivo calamitato da una forza indipendente da me

Ripartivo calamitato da una forza indipendente da me, dalla mia volontà di vero egoista: non sapevo niente di guerra, non sapevo niente di Medjugorje: nella mia meschina fede mi sono ritrovato di fronte a una sofferenza più grande della mia e ho scoperto che esiste un universo che piange e chiede aiuto.

Vigilia di Pasqua ’92: La situazione è particolarmente difficile, la guerra incombe anche
a Medjugorje, siamo sotto coprifuoco, si viaggia a fari spenti, donne e bambini sono sfollati a Makarska, ad un centinaio di chilometri; gli uomini sono al fronte.

Arrivo in questo luogo che sa di sofferenza e di speranza, di dolore e di fiducia con P.Jozo e Chiarina. Apriamo le porte del container cominciando a distribuire dolci a questi bimbi ed alle loro madri.

E’ un momento di allegria, di felicità per loro: un esempio di dignità e di amore per noi che veniamo ricompensati con delle uova sode dipinte, usanza pasquale tipica del luogo. E’ difficile per me calcolare il valore di queste uova, sono più preziose dell’oro, dei diamanti: sono un pezzo d’amore.

non sono un eroe invulnerabile.

Come spesso capita a chi ha cambiamenti tumultuosi della propria vita, i dubbi, le incertezze, la tentazione di far polemica fine a se stessa si sono fatti ben vivi anche in me: non sono un eroe invulnerabile.

Così i pretesti per non tornare in Bosnia sono stati tanti e tali da portarmi ad una battuta d’arresto da agosto a dicembre’92. All’inizio, tronfio della mia arroganza sempre in agguato, ero soddisfatto di poter dire a Chiarina il mio “no”.

Iil tempo passava e l’arroganza lasciava il posto ad una tristezza e a una nostalgia latenti; la voglia di ritornare si faceva sentire sempre più viva e a dicembre sono partito di nuovo. Ho ritrovato Medjugorje, la Madonna, che mi è più cara di quanto voglia ammettere, questa gente; ho ricomposto il mio cuore di cui un pezzo è rimasto sempre qui.

Ha cominciato a farsi strada in me il significato dell’insegnamento evangelico del “dare per ricevere” mi sono sentito amato di un amore grande con tutti i miei limiti, le mie chiusure, le cadute; ho trovato la pace, sì, la pace dove c’è la guerra, una pace tutta da difendere, una tregua con il mondo fatta di sforzi quotidiani, di “calli alle mani e alle ginocchia” come dicono i ragazzi di Suor Elvira.

Medjugorje era vigilia di Pasqua del ’92,

Avevo bisogno di certezze per quanto riguarda l’amore gratuito

Avevo bisogno di certezze per quanto riguarda l’amore gratuito e puntualmente mi
sono arrivate: Mostar, gennaio’93, coprifuoco, fari spenti, scarichiamo presso il convento
francescano; i magazzini sono deserti, solo desolanti scatole vuote.

In poco tempo con la compagnia di qualche colpo dei cecchini riempiamo nuovamente le loro dispense, la gente aspetta fuori impaziente, la fame è tanta ed è tale anche per questi frati, ma gioiosi rinunciano alla loro cena per darla a noi autisti: uova e formaggio.

E’ il loro modo di ringraziarci, forse potranno mangiare domani, dopo aver rifornito le famiglie che si presentano a chiedere aiuto, indipendentemente dal fatto che siano croati, mussulmani, serbi o di chissà quale fazione, perché tu mussulmani, serbi o di chissà quale fazione, perché tutti hanno diritto alla vita: l’alba e il tramonto sono un bene comune ed indipendente.

Medjugorje era vigilia di Pasqua del ’92,

Qui in Bosnia, sono nato alla vita

Qui in Bosnia, sono nato alla vita e ho capito che La carità non avrà mai fine… Quand’ero
bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma divenuto
uomo, ciò che ero da bambino l’ho abbandonato…

Ora conosco il modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità: ma di tutte più grande è la carità! (1 Cor 13.8-13).

Un grazie di cuore, privo di ipocrisia e incondizionato a Chiarina e a tutti coloro che mi hanno aiutato ad incontrare Colei che, in quella terra sassosa, si fa visibile ogni giorno.

Luciano B.

Questa piccola testimonianza vuol essere riconoscimento per tutti i generosi portatori
di aiuti che da anni solcano le strade della ex-Jugoslavia, in mezzo a strettezze e pericoli ed
ora a difficoltà pressoché insormontabili, frapposte alle frontiere per i carichi privati.
Essi sono unanimemente testimoni di come Maria li abbia sempre tirati fuori prodigiosamente
da situazioni impossibili, perché portassero a termine la loro opera di carità verso
i suoi figli più poveri. Un pellegrinaggio di autisti portatori di aiuti è stato fatto a Medj. dal 23 al 26 marzo, con mèta finale a Osarici, patria di P. Jozo.

Fonte : Eco di Medjugorje, dal numero 119 Aprile 1995

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