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La Parabola del padre buono: Il figlio maggiore

Ci sono lontananze e lontananze. Alcune sembrano incolmabili, segnate da valli da colmare, dirupi da scalare, ragnatele di polverosi sentieri da percorrere. Altre sono più sottili, quasi impercettibili, non si misurano con un sistema metrico, sfiorano il limite dell’invisibile. Sono le distanze del cuore.

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Solo queste sono veramente incolmabili, vertiginose, abissali. Si può vivere gomito a gomito con qualcuno, sentirne l’alito, ricoprirsi con i medesimi vestiti e il cuore ha la capacità di spalancare distanze abissali. Se il figlio minore vive in un paese lontano, oltre i monti, al di la della valli, il figlio maggiore vive lontano dal cuore paterno. Abita nella sua casa, lavora nei sui campi ma non coltiva gli stessi sentimenti, non scruta i medesimi orizzonti, non respira la stessa brezza, il profumo che emana dal giardino paterno. Non è certo il vestito a dire chi Dio ha incontrato. Le apparenze sono tutte a favore del figlio maggiore; egli rappresenta il cliché classico del “bravo ragazzo”. Lavoratore, risparmiatore, apparentemente devoto ed obbediente. In realtà la sua vita è grigia, costellata dai medesimi reticolati che delimitano i confini dei campi da dove è appena tornato, incapace di gioire. Questo figliolo, così diverso da suo fratello, ma parimenti lontano, rappresenta una certa religiosità, un modo alquanto convenzionale, statico e opaco di concepire il rapporto con Dio, la fede in tutta la sua vitalità. Egli rappresenta me, rappresenta te, quando coltiviamo una fede individualista e intimistica che ci rende sordi alla voce di Dio e dei fratelli. Quando fondiamo il nostro rapporto con quel Dio dal volto paterno su un rigido senso del dovere che sfocia in un vago senso di soddisfazione per aver fatto “il dovuto” verso l’aldilà, narcotizzando, di fatto, la Parola profonda dell’infinito, paralizzando in un piccolo e gretto bozzolo la creatività dello Spirito che “rende nuove tutte le cose”.

Se il figlio minore corre su un sentiero sbagliato che lo conduce verso un paese lontano, il maggiore è statico, stucchevole, privo di calore, di affetto, di sensibilità. Vi sono lontananze e lontananze. Questi due figlioli sono parimenti lontani dalla casa del Padre, dal suo cuore. Io non mi vergogno di riconoscermi in loro dovendo fare i conti con questa mia umana fragilità, con quelle infermità spirituali che mi impediscono di spiccare il volo nel cielo infinito dell’Amore Divino.


Redazione Papaboys (Fonte www.nondisolopane.it)

1 COMMENTO

  1. questi due figli sono parimenti lontani dalla casa del Padre, dal suo cuore, ” io non mi vergogno di riconoscermi in loro dovendo fare i conti con questa umana fragilità”. Definisco sublime questa parte finale a commento del vangelo del figliol prodigo, condivido l’analisi che si sforza di spiegare anche il comportamento del figlio maggiore anche se non ci fa intravvedere quale sarà il suo destino. E’ una parabola “aperta” lasciata aperta da nostro Signore Gesù che nessuna persona è in grado di “chiudere” senza l’aiuto diretto dello Spirito Santo: credo che sia il passo che meglio si addice per una profonda meditazione nell’anno Giubilare della Misericordia e che io porrei alla fine del percorso quaresimale.

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