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Giubileo, parroco a Ponte Di Nona: ‘Cittadini di serie Z’

La parrocchia romana di S. Maria Josefa era stata inserita nel piano di riqualificazione delle periferie con uno stanziamento di 1mln 450mila euro, ma nessuno si è fatto vivo. Reportage nel quartiere di Ponte Di Nona, tra abbandono e povertà. 

Ponte di Nona

“Era stato deciso con il Comune di sistemare il piazzale antistante e i giardini per i bambini, compreso l’allargamento della strada per facilitare l’accesso alla chiesa, ma sembra che questa occasione per il Giubileo sia andata perduta. Silenzio assoluto”. Don Angelo De Caro, sacerdote monfortano, è il parroco di S. Maria Josepa, parrocchia fortemente voluta da Giovanni Paolo II, che andò a visitarla in occasione della fondazione, nel 2001. “Speriamo che con questo Commissario si riprenda il discorso perché veramente le periferie sono abbandonate”, denuncia. “Il creato – come dice Papa Francesco – ci porta un certo senso di ordine, di serenità. E noi abbiamo bisogno anche di questo. Ci siamo sentiti un po’ illusi, pur essendo consapevoli che i politici hanno sempre fermato la loro preoccupazione alle realtà che sono dentro al GRA, noi che siamo fuori il raccordo, siamo cittadini di serie Z. Balziamo alle cronache solo per fatti legati allo spaccio di droga, alla criminalità – che pure sono diffusi – e allora fioccano le etichette. Ma non è tutto così. Ci sono persone oneste che ogni mattina fanno i sacrifici per le loro famiglie”.

Abituato a guidare parrocchie di periferia – dodici anni passati ai quartieri spagnoli di Napoli – Don Angelo ha celebrato i funerali di uno dei due giovani coinvolti nella sparatoria di una settimana fa: “Qui il tema della misericordia è cruciale”, spiega. “Un centinaio di persone vive agli arresti domiciliari. Noi in comunità parrocchiale cerchiamo di stimolare un esame di coscienza, cerchiamo di non alimentare il senso di vendetta, di promuovere la convivenza serena il più possibile”. Vivendo porta a porta con chi si considera un nemico “certe volte c’è la rabbia, la paura, il disprezzo, l’apprensione, il silenzio che cala. Ma siamo invitati alla misericordia”, ribadisce il parroco. “Solo il Padre Eterno può sapere cosa è successo quella notte. E’ una grande tristezza. C’è tanta devianza, il ricorso a scorciatoie per il guadagno facile, c’è bisogno di perdonarsi. Io l’ho detto anche al funerale: dovete pensare al futuro dei vostri figli, dovete essere onesti, ascoltare di più, dovete pregare di più, anche con un semplice segno di croce. Non è il rumore della violenza che ci rende felice ma il silenzio della bontà e dell’onestà”.

Numerose le lettere di aiuto scritte a Papa Francesco. Don Angelo le raccoglie, verifica se effettivamente vengono da persone che hanno bisogno di aiuto e le porta all’Elemosineria apostolica. “Sono ragazzi passati dall’oratorio quando erano piccoli – spiega – che poi hanno fatto degli sbagli e sono ai domiciliari. Alcuni si faranno 5-6 anni di carcere”.

“Il problema è che qui molte famiglie non hanno un lavoro – racconta il parroco – soprattutto quelle delle case popolari, e sono più di un terzo del totale delle famiglie che fanno capo alla parrocchia. Altre vivono di una pensione di 400 euro e fanno veramente difficoltà ad arrivare a metà mese. Famiglie giovani che hanno acceso un mutuo ma con la crisi uno dei due ha perso il lavoro. Qui ci vorrebbe la presenza di qualche fabbrica che dia dignità a queste persone frustrate, m non vedo una politica di investimento. Molti prestavano manovalanza nell’edilizia ma ora è tutto fermo. Un giovane come fa a pensare di metter su famiglia? Rispetto all’anno scorso abbiamo un calo dei battesimi del 30%. I corsi di preparazione al matrimonio erano una quarantina, quest’anno una quindicina”.

In parrocchia si distribuiscono pacchi alimentari ma la gente che va a chiedere è tanta e aumenta sempre, di tutte le razze. E l’interazione con gli immigrati non è facile. La parrocchia è forse l’unico centro aggregativo che da una alternativa ai ragazzi: “Bisogna ricominciare tutto da zero con l’iniziazione cristiana, hanno alle spalle situazioni famigliari disunite. Vengono prevenuti, poi però si appassionano e sono contenti. Iscritti 330 bambini quest’anno. L’oratorio è aperto tutti i giorni. Appena escono da scuola vengono qui a giocare. E’ la realtà che ti tarpa le ali. Eppure la speranza continua, ci vuole tanta pazienza e costanza. Dalla tabula rasa bisogna cominciare a far fiorire il deserto. Dobbiamo creare dei processi, seminare, altri raccoglieranno, non sappiamo quando e come”. 




Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va/Antonella Palermo)

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