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A dieci anni dalla morte di don Giussani. Utilità comune

savorana-racconta-don-giussani-venerdi-la-presentazione-del-libro_e030b6cc-9965-11e3-8393-64c026b6617f_displayNel decennale della morte di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005) centinaia di messe sono promosse in tutto il mondo da Comunione e liberazione con l’intenzione di «vivere fino in fondo l’invito di Papa Francesco a preservare la freschezza del carisma». Anticipiamo dal prossimo numero del mensile «Tracce», un articolo del segretario della Pontificia Commissione per l’America latina.

(Guzmán Carriquiry) Custodisco nella memoria e nel cuore, con commossa gratitudine, il dono dell’incontro con don Giussani. Lo incontrai, le prime volte, lungo l’iter di riconoscimento pontificio di Comunione e liberazione (Cl), che dovevo seguire nel mio lavoro al Pontificio Consiglio per i laici. Prima fu l’impatto con il suo appassionato coinvolgersi nell’interessamento per la mia vita, la mia famiglia, il mio lavoro, in un sorprendente abbraccio di umanità. Poi furono le letture dei suoi scritti, le amicizie con coloro che lo seguivano, una maggiore vicinanza all’esperienza del movimento.

Potevo pensare, allora, con quella vana sufficienza di “laico adulto”, persino “sotto-segretario” di un dicastero della Santa Sede, che la mia ossatura cristiana fosse già ben dritta e consolidata. Invece, sperimentai la lieta sorpresa, anche piena di entusiasmo, che questi incontri m’illuminavano più chiaramente la natura dell’avvenimento cristiano, lo rendevano di maggiore ragionevolezza, bellezza e attrattiva per la mia vita e mi educavano a uno sguardo di approccio a tutta la realtà.

Seguendo da vicino quella grande fase di slancio e di irruzione dei movimenti nella vita della Chiesa ho potuto ben percepire — e questo è già molto documentato — quei rapporti di viva stima personale che intercorrevano tra don Giussani e san Giovanni Paolo II (anche prima che divenisse Pontefice), e tra don Giussani e Joseph Ratzinger, divenuto poi Benedetto XVI.

Don Giussani educò i suoi a una attenta e intelligente obbedienza al magistero dei successori di Pietro. Bisogna, però, esaminare quanto il geniale pensiero teologico ed educativo di don Giussani sia stato contributo fattivo di influsso in questo magistero.

Di Ratzinger, monsignor Rino Fisichella ha osato dire che era divenuto il Papa più “giussaniano”, sottolineando profonde concordanze nel fatto di proporre in modo nuovo la grande tradizione cattolica agli uomini del nostro tempo.

E come non ricordare che Jorge Mario Bergoglio — così lontano da ogni ossequio formale e da ogni omaggio protocollare — affermò che la lettura di don Giussani è stata importante per la sua vita sacerdotale. Nell’attenzione con cui don Julián Carrón segue le parole e i gesti di Papa Francesco non si apprezza soltanto un dovere di obbedienza, ma l’interrogarsi sino in fondo su quale richiamo oggi fa lo Spirito di Dio al carisma del movimento, alla sua storia e al rinnovarsi del suo slancio educativo, missionario e caritativo.

Don Giussani non aveva avuto mai — lo ripeteva! — l’intenzione di fondare un movimento, sempre attento alla persona, sempre all’erta da ogni possibile appiattimento su una logica solo associativa, vigile che la forza dirompente del carisma non diventasse schema e istituzione, allergico all’accontentarsi di ciò che si considera come già acquisito, educatore del dispiegarsi della libertà e della corresponsabilità contro ogni forma cristallizzata, sempre disposto a ricominciare come nuovo inizio.

Lo ricordiamo, in questo senso, come il meno “movimentista” — non voleva altro che educare a una vera esperienza cristiana — ma fu la riflessione sulla propria esperienza che, insieme alle riflessioni del cardinale Ratzinger, ha aiutato molti altri movimenti e comunità, incluso il magistero ecclesiale, a comprendere il dono e il significato di queste nuove generazioni di uomini e donne che riscoprono la gratitudine, la gioia, la verità e la bellezza di essere cristiani, che ne rendono ovunque testimonianza e che comunicano, con convinzione e persuasione, le ragioni del dono ricevuto e offerto.

Mi impressiona sempre osservare come il carisma e il pensiero di don Giussani travalicano le frontiere visibili di Cl, si diffondono per vie imprevedibili, diventano illuminanti per la vita cristiana di molti e suscitano domande, riflessioni e attese anche in molti considerati “lontani”.

L’edizione dei suoi scritti in tante lingue ha fatto la sua parte importante. Ma rimango sorpreso, specialmente nel mio ambito latinoamericano, di tanti vescovi, sacerdoti, comunità religiose, politici e accademici, inclusi gruppi di giovani, che parlano di don Giussani con ammirazione e gratitudine senza averlo conosciuto personalmente, senza essere stati in contatto con Cl.

Ricordo, tra tante, una cena a casa con due cardinali latinoamericani, con scarsa conoscenza dell’esperienza del “movimento”, di cui ricordo bene i volti e le parole. Uno di loro, che aveva vissuto molti travagli da giovane vescovo nei caldi anni Settanta e che aveva sofferto nel vedere che tanti riducevano la loro fede a moralismo arrabbiato, se non violento, fino a perderla, ci raccontava di come fosse cambiata la sua impostazione pastorale ed educativa quando aveva capito meglio, nella lettura di testi di don Giussani, che il cristianesimo era un “fatto”, e non una ideologia.

Ancora molti di più sono, oggi, nella Chiesa, quelli che, riguardo alle intuizioni geniali di don Giussani, si comportano come quel «monsieur Jourdan, che parlava in prosa senza saperlo».

Qualcuno ha detto che il migliore esito di un pensatore è quando la sua impostazione e le sue idee diventano anonime, diffondendosi ovunque. Più che anonime, in questo caso, sono patrimonio di tutta la Chiesa, per l’«utilità comune» per dirla con san Paolo.

Ciò che, a dieci anni dalla sua morte, non è per niente anonima è la sua testimonianza di santità, che ci accompagna ancora. Così come i volti di tanti che per mezzo di essa sono stati attratti da Cristo, in una corrente di grazia che si continua a diffondere oltre le più varie frontiere geografiche, culturali ed esistenziali.

L’Osservatore Romano,12 febbraio 2015

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