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Da Joseph a Georg, strumentalizzazioni sui fratelli Ratzinger. Occorre fare chiarezza, i ‘lupi’ ci marciano

«Il Papa emerito è stato volutamente strumentalizzato, con quella frase non alludeva a nulla di preciso, parlava della situazione della Chiesa di oggi come del passato con una barca che non naviga in acque tranquille. Lo dice anche Francesco. Capisco che questa immagine possa dar adito ad allusioni o depistaggi, ma dietro a quelle parole non c’è nessun attacco».

Con queste parole monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia e segretario di Benedetto XVI, intervistato dal quotidiano “Il Giornaleˮ, ha cercato di smorzare le polemiche sollevate dal messaggio inviato dal Papa emerito per i funerali del cardinale Joachim Meisner, morto nei giorni scorsi.

In quel messaggio in memoria dell’amico, Joseph Ratzinger aveva scritto: «La cosa che più mi ha commosso è che il cardinale Meisner ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita sempre di più la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è riempita fino quasi a capovolgersi». Parole che erano state immediatamente interpretate come un attacco al successore Papa Francesco.

Quello della barca nel mare in tempesta, e del Signore che sembra dormire invece che guidarla, è un riferimento che attraversa duemila anni di storia della Chiesa. L’episodio evangelico è quello raccontato da Marco (4, 35-41): i discepoli terrorizzati si trovano in barca nel mare in tempesta, e Gesù, che sta con loro, dorme profondamente a poppa, tranquillo. I discepoli lo svegliano e quasi lo rimproverano per il suo atteggiamento. Lui ordina al mare e al vento di calmarsi e subito arriva la bonaccia. Lo scopo del miracolo non è tanto quello di far risaltare la potenza del Figlio di Dio, quanto di suscitare la fede nei suoi, rimproverandoli per aver avuto paura nonostante il loro Maestro fosse sulla barca con loro.

Si possono ricordare al riguardo le parole di Paolo VI, dette nel dicembre 1968 ai membri del Seminario lombardo. Vennero pronunciate pochi mesi dopo la pubblicazione dell’enciclica “Humanae vitae”, che rappresentò il momento di massimo isolamento per Papa Montini, attaccato dai suoi stessi amici. Disse: «Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta. Quante volte il Maestro ha ripetuto: “Confidite in Deum. Creditis in Deum, et in me credite!”. Il Papa sarà il primo ad eseguire questo comando del Signore e ad abbandonarsi, senza angoscia o inopportune ansie, al gioco misterioso della invisibile ma certissima assistenza di Gesù alla sua Chiesa. Non si tratta di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera».

Questa medesima coscienza del fatto che non è il protagonismo del Papa a guidare la Chiesa è emersa più volte negli otto anni di pontificato di Benedetto XVI. Basta citare le parole di Ratzinger nel discorso da lui tenuto nell’ultima udienza in piazza San Pietro, la mattina del 27 febbraio 2013, il giorno prima che dell’inizio della sede vacante in seguito alla rinuncia: «Vedo la Chiesa viva! La Chiesa non è mia, non è nostra, ma è del Signore, che non la lascia affondare; è Lui che la conduce…».

Lo stesso sguardo di fede si ritrova in Papa Francesco, che all’Angelus del 10 agosto 2014, commentando il brano evangelico di Marco, ha detto: «Quante volte anche a noi accade lo stesso! Senza Gesù, lontani da Gesù, ci sentiamo impauriti e inadeguati al punto tale da pensare di non potercela fare. Manca la fede! Ma Gesù è sempre con noi, nascosto forse, ma presente e pronto a sostenerci. Questa è una immagine efficace della Chiesa: una barca che deve affrontare le tempeste e talvolta sembra sul punto di essere travolta. Quello che la salva non sono le qualità e il coraggio dei suoi uomini, ma la fede, che permette di camminare anche nel buio, in mezzo alle difficoltà. La fede ci dà la sicurezza della presenza di Gesù sempre accanto, della sua mano che ci afferra per sottrarci al pericolo. Tutti noi siamo su questa barca, e qui ci sentiamo al sicuro nonostante i nostri limiti e le nostre debolezze». Parole quasi identiche a quelle ripetute ora dal Papa emerito a proposito della «barca che è quasi sul punto di essere travolta».

Si comprende dunque bene quanto sia strumentale usare le parole utilizzate dal Papa emerito nel messaggio per i funerali di Meisner contro il suo successore. E soprattutto come questa strumentalizzazione evidenzi una mancanza di conoscenza del magistero di Benedetto XVI, come pure, al fondo, la mancanza di uno sguardo di fede. E pare poco credibile, guardando dall’altra parte, anche ipotizzare che il Papa emerito non sia l’autore di quel messaggio per l’amico porporato.

Ma c’è un’altra strumentalizzazione delle ultime ore che riguarda Ratzinger, anche se direttamente non Joseph bensì il fratello Georg, 93 anni, già direttore del coro di Ratisbona. A scanso di equivoci va premesso che le risultanze dell’indagine promossa dalla diocesi negli ultimi due anni sono terribili: 547 bambini vittime di maltrattamenti, 67 dei quali vittime di abusi sessuali, in alcuni casi ripetuti. Gli episodi si riferiscono a un arco temporale che va dagli anni Cinquanta agli anni Novanta. Gli abusi avvenivano nella scuola frequentata dai ragazzi del coro.

La vicenda era emersa nel 2010, al culmine dello scandalo pedofilia, e a far scalpore era il fatto che il fratello dell’allora Pontefice avesse diretto per trent’anni il coro “Regensburger Domsplatzenˮ, conosciuti come i “Passeri del Duomo”. Ora la commissione di inchiesta ha concluso i suoi lavori e martedì 18 luglio sono stati resi noti i risultati. Nessuna accusa di abusi di natura sessuale viene mossa contro Georg Ratzinger, che già nel 2010 chiese perdono per qualche eccesso d’ira, ammettendo di aver dato qualche sberla, come pure per non essersi accorto della gravità dei fatti che accadevano dentro la scuola. L’avvocato delle vittime ha dichiarato che Georg Ratzinger non poteva non sapere, e dunque che ha in qualche modo coperto ciò che accadeva. Bisognerà attendere di leggere nel dettaglio le testimonianze, ma già nel 2010 il fratello di Benedetto XVI aveva dichiarato di non essere mai stato a conoscenza di accuse di abusi di natura sessuale.






Sarebbe necessaria pertanto maggior cautela: è ovvio che il nome di Georg Ratzinger nel 2010 come oggi rappresenta la notizia. Ma l’associazione di quel nome agli abusi sessuali nei titoli (seppur formalmente corretti) dei media sembra suggerire una qualche sua responsabilità negli abusi stessi. Responsabilità che invece non c’è.

Fa poi sorridere – e indica il livello di strumentalizzazione a cui si è arrivati – il patetico tentativo di coloro che hanno sottolineato la «coincidenza» temporale tra il messaggio (malamente strumentalizzato) di Benedetto XVI ai funerali dell’amico Meisner e la pubblicazione delle risultanze dell’inchiesta sugli abusi a Ratisbona. Secondo il più tipico stile «complottista» i due fatti sono stati messi in relazione lanciando il sasso e nascondendo la mano (cioè senza addurre neanche un minimo indizio di reale correlazione), ma lasciando intendere che il secondo evento sia collegato al primo, quasi potesse trattarsi una contromossa di una spectre «bergogliana» contro i resistenti «ratzingeriani».

È infine da respingere pure il tentativo – frequente negli ultimi giorni – di enfatizzare la portata delle vicende legate ai presunti abusi dei quali è accusato il cardinale George Pell e delle presunte sottovalutazioni del fenomeno Ratisbona nel 2010 da parte del cardinale Gerhard Müller, per usarle nelle lotte interne alla Curia romana.




Fonte www.lastampa.it
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