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Aids, la follia dei ragazzi che sfidano il virus. E quell’appello del Papa!

In Occidente non si muore più. Ma il contagio aumenta, perché si riaffacciano i comportamenti pericolosi. E se la medicina fa progressi, la prevenzione invece ha fatto passi indietro. Il 1° dicembre è la giornata mondiale contro la sindrome da immunodeficienza. Ecco la situazione a oggi di una malattia che ha sconvolto in tutto il mondo le abitudini sessuali.

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“Se prendo l’HIV pazienza, non si muore più, no? Io il preservativo non lo uso. Costa e poi non mi piace”. Luca ha 19 anni, è uno studente come tanti. Al momento è single ma esce, conosce tante persone, alcune poi le frequenta e instaura relazioni più o meno durature. Le conosce nei locali la sera, attraverso amici o sulle chat per incontri. «Il cappuccio (profilattico, ndr) riduce il piacere». Luca non è affatto preoccupato dai rischi legati ai rapporti non sicuri. Pur non usando il preservativo non ha mai fatto un test per scoprire se è positivo all’Hiv. «Mai fatto. So che a Roma li fanno le associazioni, ma non le frequento e per farli in ospedale serve l’impegnativa del medico. Non ho né il tempo né la voglia, e comunque non mi interessa».

La storia di Luca è solo una delle tante nell’universo dei millennials, i nati tra il 1980 e il 2000. La generazione più istruita della storia, che conosce l’inglese, che viaggia, quella iperconnessa che trascorre le giornate su Facebook, lo smartphone sempre a portata di mano. E il sesso, per alcuni di questi ragazzi e ragazze, rimane un argomento difficile da affrontare. L’educazione sessuale, pur essendo sempre più diffusa, ancora resta un tabù in alcune sacche del mondo giovanile. In certi casi le paralizza. «Avevo la gonorrea ma mi vergognavo troppo, non riuscivo ad andare dal mio medico di base. Ero preoccupato da quello che poteva essere il suo giudizio», racconta Davide, 20 anni. La vergogna lo ha bloccato, gli ha impedito di curarsi come avrebbe dovuto: «Mi sono fatto passare sottobanco le medicine dal mio amico farmacista».

Talvolta la malattia non è vissuta più come una minaccia ma come un’inevitabile sventura. Una fatalità. Come nel caso di Valentina, 15 anni: fuori dal suo liceo racconta di fare sesso senza precauzione, «prendo la pillola», assicura. L’importante, per lei è non rimanere incinta. Del preservativo, l’unico contraccettivo che fa da barriera alle malattie sessuali, non vuole sentir parlare. Claudio, che di anni ne ha 16, ne fa invece una questione economica: «Io non posso chiedere i soldi ai miei genitori per comprare i preservativi. Mi vergogno. Se lo trovo gratis bene, sennò si fa senza».

Valerio vive a Rimini. È positivo all’Hiv da quando aveva 20 anni. Ora ne ha 24. Ha accettato la malattia come fosse un incidente: «È stato il mio ragazzo», racconta. “Lui mi tradiva e quando l’ho scoperto ci siamo lasciati. A storia finita decisi di fare le analisi generali e ho scoperto di essere positivo». La malattia cambia radicalmente le sue abitudini. Cambiano anche i rapporti personali, con la famiglia prima di tutto. «I miei genitori all’inizio non capivano, sono rimasti fermi agli anni Novanta quando la gente ci moriva di Aids. Ora sto cercando di istruirli».

 «Non me lo aspettavo. Usavo quasi sempre il preservativo». Paolo è di Bologna, la diagnosi che ha ricevuto a 23 anni è stata un’irruzione che gli ha cambiato la vita in un minuto. Aveva un biglietto aereo per il Brasile vinto grazie a una borsa di studio. Dopo la scoperta della malattia ha scelto di restare in Italia: «Essere positivi all’Hiv mi ha dato una vita nuova. È cambiata la prospettiva, il modo in cui guardo le persone attorno a me». Con la malattia ogni scelta relazionale pesa: «Presentarti a qualcuno come persona sieropositiva equivale a fare coming out una seconda volta». Sofferenza? «Forse all’inizio ma dalla sofferenza è nata una capacità di reagire, una ragione di riscatto». Così Paolo diventa attivista di Plus, l’associazione che riunisce persone gay sieropositive: «L’ho fatto pensando a chi è meno fortunato di me: ho contratto il virus in un’epoca in cui la malattia non equivale a una sentenza. In una città come Bologna, poi, dove c’è apertura nei confronti della comunità lgbt. E infine, in una famiglia che ha reagito con lucidità: mia madre mi disse che se avessi avuto il diabete sarebbe stato molto peggio. Capisci?, non tutti hanno questa fortuna».

E Francesco, 24 anni, positivo al virus da due, questa fortuna non ce l’ha: «In famiglia non lo sanno e non intendo dirglielo», spiega. «A stento accettano il fatto che sia gay. Per me non sono problemi l’essere gay e sieropositivo. Sono fatti. I miei genitori non guardano all’omosessualità come a una cosa normale. Figuriamoci all’Aids che nel loro immaginario resterà sempre la maledizione degli anni Ottanta». La diagnosi l’ha ricevuta il primo dicembre 2014, proprio durante la Giornata mondiale contro l’Aids: «Ho fatto il test di routine. Non ho capito più nulla. Volevo solo uscirne. Ho iniziato a informarmi e a frequentare i gruppi di sostegno».

Secondo i dati forniti dal Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità da dieci anni il numero delle diagnosi non accenna a scendere, e anzi registra un incremento tra le persone omosessuali. La trasmissione dell’Hiv avviene quasi sempre per via sessuale e sempre meno per via endovenosa. Tra i maschi gay è allarme rosso. Soprattutto tra le nuove generazioni che hanno abbassato la guardia. Lo spiega bene Massimiliano, volontario del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli di Roma dove trascorre parecchie ore alla settimana per fare consulenza e ascoltare i problemi dei giovani. Dopo anni di lavoro si stupisce ancora della disinformazione e della mancanza di responsabilità: «Quando parlo con loro, siano etero o gay, scatta ancora il meccanismo del “poi ci penso”. Non usano precauzioni, spesso perché il partner risulta esteticamente affidabile. Una volta un ragazzo, dopo aver avuto un rapporto non sicuro, mi disse “Non mi sembrava il tipo da Hiv”».

Ma ci sono anche giovani che rifiutano l’uso del preservativo non per ignoranza ma per scelta. «È più eccitante – dice Flavio, 28enne – Ammetto che farlo senza mi eccita di più, sia dal punto di vista fisico sia perché è più pericoloso. Poi mi pento, ma solo dopo».

Un microuniverso giovanile che va in moto a fari spenti: il sesso senza preservativo per il gusto di farlo “al naturale”, senza pensare alle conseguenze. Fino ad arrivare a pratiche estreme, come la moda importata da oltreoceano del chem-sex, sempre più diffusa tra i giovani. Droga e sesso mescolati. Ci si ritrova tra sconosciuti in casa, si fa sesso non protetto e ci si sballa: aumentano sia le performance sessuali e sia i rischi di contrarre malattie.

Emiliano a 26 anni si considera un habitué dei festini a base di droga e sesso: «Ci si organizza tramite i social, qualcuno ospita e ci si ritrova lì. Gay ma anche etero. Una volta mi ritrovai in un festino con 7 gay e una donna etero. Lei guardava e si sballava». I preservativi di solito sono sempre ben visibili sul tavolo, accanto a droga come cocaina, Ghb, Md, Ecstasy liquida. «Ma i condom restano dei soprammobili, perché quando la droga entra in circolo si ha un senso di invincibilità e non si è coscienti di correre il rischio. E se lo sei comunque ti eccita. Quando sale l’effetto non hai la lucidità per aprire un preservativo e mettertelo. Si perde spesso la cognizione del proprio corpo e del tempo. Una volta sono rimasto in casa tre giorni». I party iniziano il venerdì sera per poi prolungarsi il sabato e domenica c’è il down finale. «La prima volta che l’ho fatto sono andato avanti dal venerdì alle sette di sera fino a lunedì. A me sembrava fossero passate solo due ore. Alla fine si scopa poco in realtà, ma non hai fame e bevi molto».

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Tra le pratiche estreme oggi resta meno in voga il bugchasing, che consiste nell’avere rapporti sessuali non protetti con persone sieropositive e disponibili a trasmettere il virus dell’hiv: «Preistoria» commenta Gaetano, 25enne. «Chi è sieropositivo oggi si cura e difficilmente è contagioso se segue regolarmente una terapia anti-retrovirale e non è affetto da altre infezioni sessualmente trasmissibili. Quelli che fanno bugchasing sono una categoria paragonabile a chi si eccita guardando i morti. Un caso clinico». Gaetano invece è più affascinato dal “bareback”. In inglese vuol dire “montare a cavallo senza sella”. Si organizzano orge e si fa sesso rigorosamente non protetto: «È più divertente, quando lo fai ti senti libero. Le malattie? Non ci penso, si vive una volta sola».




Redazione Papaboys (Fonte espresso.repubblica.it/Simone Alliva)

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L’APPELLO DI PAPA FRANCESCO IERI ALL’UDIENZA GENERALE
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1° dicembre, ricorre la Giornata Mondiale contro l’AIDS, promossa delle Nazioni Unite. Milioni di persone convivono con questa malattia e solo la metà di essi ha accesso a terapie salvavita. Invito a pregare per loro e per i loro cari e a promuovere la solidarietà perché anche i più poveri possano beneficiare di diagnosi e cure adeguate. Faccio appello infine affinché tutti adottino comportamenti responsabili per prevenire un’ulteriore diffusione di questa malattia.
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