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Bagnasco. La Chiesa non è per una parte ma per il bene di tutti

Bagnasco. La Chiesa non è per una parte ma per il bene di tuttiIl cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sarà l’ospite della puntata di “Soul” che andrà in onda oggi (20 dicembre), alle 20.30, su Tv2000. Intervistato da Monica Mondo, l’arcivescovo di Genova racconta di sé, della sua formazione in una Chiesa “estremamente radicata nelle famiglie, nel tessuto sociale”. Parla anche della Chiesa, della pace, della preghiera e della speranza. E conclude: “Dovete pregare sempre”

Dall’infanzia a Genova al ministero episcopale – nella città nella quale è cresciuto – e al ruolo di presidente dei vescovi italiani, passando per gli anni della formazione, l’insegnamento di Metafisica e Ateismo contemporaneo, l’esperienza come ordinario militare. È un’intervista a tutto campo al cardinale Angelo Bagnasco quella che Tv2000 (canale 28 del digitale terrestre, 18 di TvSat, 140 di Sky, in streaming su www.tv2000.it) manderà in onda domani sera, alle 20.30, realizzata da Monica Mondo per “Soul”, approfondimento settimanale con protagonisti del mondo della politica e della cultura per far emergere “non i personaggi ma le persone”.

Ricordi dell’infanzia. L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei comincia con i ricordi, la vita familiare “molto semplice, normale”, con i genitori e la sorella maggiore, la Messa domenicale e l’importanza della parrocchia, attorno alla quale “tutto gravitava”. Poi la vocazione, nata negli anni della scuola elementare. “Guardavo i miei sacerdoti, il parroco e il giovane viceparroco, sull’altare, tra la gente, in confessionale, tutti i giorni”; così “s’insinuò l’idea che quel tipo di vita poteva essere anche per me: che era bello, poteva essere bello dedicarmi agli altri, fare quello che loro facevano con noi”. La Chiesa di quegli anni, ricorda Bagnasco, era “estremamente radicata nelle famiglie, nel tessuto sociale, tant’è vero che andare tutti i giorni il pomeriggio a giocare in strada, nei vicoli, o in piazza Sarzana, che è la parte più vecchia di Genova, più antica, quella vicino al porto, era andare in parrocchia, anche se magari non era in chiesa necessariamente”.

Siri, “un padre”. I ricordi proseguono con il cardinale Siri, che lo ha ordinato nel 1966. “Per me e per tutti i miei compagni di seminario e sacerdozio, innanzitutto, il cardinal Siri è stato un padre, perché al di là del suo comportamento molto altero, molto solenne – e questa è la testimonianza comune – in realtà ci conosceva e ci chiamava per nome, pur nelle forme che lui esigeva e che erano del tempo; emanava una grande paternità, un grande affetto e una grande simpatia. Poi, per quanto riguarda il suo magistero, aveva il dono della chiarezza, della logica, della brevità sia nelle omelie sia nei suoi scritti”. “Essere vescovo – prosegue – significa anzitutto essere padre dei propri sacerdoti: questo è assolutamente prioritario. Perché tra sacerdoti e vescovo non c’è un legame tanto di simpatia, empatia, o affettivo, ma soprattutto sacramentale, il vincolo che Cristo stesso ha istituito. D’altra parte ogni sacerdote se non sente la paternità del vescovo è come un orfano”.

La Chiesa cerca il bene di tutti. Pensando agli studi di filosofia condotti all’Università statale negli anni della contestazione studentesca e a quelli in cui ha insegnato (Metafisica e Ateismo contemporaneo), il cardinale osserva come sia peggiore “l’indifferenza verso Dio” rispetto al definirsi ateo, perché “con un muro di gomma è difficile poter sfondare e sondare”, mentre “con una persona che ha assunto un atteggiamento di contestazione, di rifiuto di Dio, è più possibile parlare”. Poi, la vicinanza al mondo del lavoro nella “grande città operaia” quale è Genova. “Il mondo operaio, il mondo del lavoro – riflette – ha capito ormai da moltissimo tempo che la Chiesa non è per una parte, non sceglie una parte, un partito, ma cerca, sceglie il bene di tutti parlando con tutti, senza altri interessi”.

Percorrere la via del dialogo. Quindi, l’esperienza come ordinario militare, a fianco di “persone molto buone, aperte alla religiosità, attaccate alla propria famiglia, ai propri paesi, alle proprie tradizioni, con un grande senso del sacrificio e dell’umiltà”. Da qui si dipana una riflessione sulla pace e sulla “via della diplomazia e del dialogo”, che “è la via privilegiata per risolvere i conflitti”. “Sono stato recentemente a Gaza – racconta -, ho visto la devastazione e mi sono detto: queste macerie si farà presto a tirarle via per ricostruire, ma le macerie dell’anima, rancori, risentimenti, sofferenze, ricordi tragici sarà molto più difficile. Ecco, in questo senso violenza genera violenza, esterna e interiore. Quindi la via del dialogo, delle diplomazie è sempre quella da percorrere”.

“Pregare sempre”. L’intervista prosegue con una riflessione sul dolore – “L’uomo è in se stesso limitato. Può fare molto ma non potrà fare tutto. E qui incontriamo Dio che si è fatto uno di noi per precederci sulle vie delle nostre croci” -, sul “compito” che la Chiesa ha di essere vicina alla gente e di “raccogliere anche la rabbia, il senso di esasperazione, di abbandono, le domande” nel momento del dolore, come avvenuto recentemente per l’alluvione che ha colpito Genova. Infine il dialogo e il confronto all’interno della Chiesa su temi “fondamentali” come “la vita” e “la famiglia”: per il presidente della Cei “fanno bene” perché “si rischia sempre che le cose più evidenti, più importanti siano coperte di polvere”. “Dovete pregare sempre” è la conclusione, che si traduce non nello stare in ginocchio tutto il giorno, bensì nel “far diventare la nostra vita quotidiana un atto di culto a Dio”, rendendo tutto ciò che si fa “un luogo di incontro con il Signore Gesù”.

Di Francesco Rossi per Agensir

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