Voci cristiane da Gerusalemme chiedono il riconoscimento dello Stato di Palestina

Lo scorso venerdì 10 ottobre, tre leader religiosi delle Chiese di Terra Santa (il patriarca latino emerito di Gerusalemme mons. Michel Sabbah, l’arcivescovo Hanna Atallah, del patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, e il vescovo Munib Younan, della Chiesa luterana in Giordania e Terra Santa) si sono guadagnati, insieme, l’onore delle cronache per aver sottoscritto, con un centinaio di altri leader arabi cristiani, un appello per il riconoscimento dello Stato di Palestina.

«Da Gerusalemme, nostra capitale occupata, inviamo un messaggio urgente al mondo intero e in particolare all’Europa: noi aspiriamo alla giustizia e alla pace. Riconoscere la Palestina e definire le frontiere di Israele non è che un primo passo verso questo obiettivo», spiega il comunicato.

Il grido d’allarme risuona pochi mesi dopo la guerra della scorsa estate che ha fatto 2.147 morti palestinesi e 70 israeliani, mentre nella Striscia di Gaza è agli inizi la ricostruzione. Lo scacco dei colloqui tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese sotto l’egida degli Stati Uniti (interrotti lo scorso aprile) induce i cristiani (in maggioranza arabi palestinesi presenti in Terra Santa prima del 1948) a rivolgersi all’Europa. «È tempo per l’Europa di comprendere che il solo modo di vincere l’estremismo e il terrorismo nella nostra regione è di giungere alla giustizia per tutti, cominciando dal porre fine all’ingiustizia storica inflitta al popolo palestinese, una ferita aperta che continua a sanguinare». «La comunità internazionale e in particolare l’Europa, hanno una responsabilità storica verso i diritti del popolo palestinese. L’Europa ha a lungo difeso i valori della pace e dei diritti umani. Oggi può tradurre questi principi (in pratica) aiutando la Palestina». Vari Paesi europei – come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, Cipro, la Polonia e la Romania – hanno già riconosciuto la Palestina come Stato.

Il testo ricorda che dal punto di vista palestinese, la creazione dello Stato ebraico nel 1948 ha provocato l’esilio di buona parte del popolo e, dal 1967, l’occupazione. «Abbiamo patito l’espropriazione e l’esilio forzato dal 1948, quando la maggioranza dei cristiani di Palestina sono stati espulsi a forza dalle loro case. Abbiamo tenuto duro lungo tutti i 66 anni d’esilio e i 47 d’occupazione, aggrappandoci al messaggio di pace di nostro Signore. Siamo stanchi degli appelli alla ripresa dei negoziati mentre non possiamo nemmeno recarci (liberamente) nelle nostre chiese a causa di una potenza straniera, e i nostri fedeli continuano ad essere umiliati da un’occupazione indesiderabile».

Il comunicato, che ha raccolto il consenso di un buon numero di personalità diverse, propone di creare lo Stato palestinese entro i confini del 1967, con capitale Gerusalemme Est (annessa da Israele nel 1967). Ciò dovrebbe andare di pari passo, secondo loro, a uno stop alla colonizzazione in Cisgiordania (accusata di «distruggere le prospettive di pace»).

Se la speranza nell’effettiva possibilità di cambiamenti è flebile, l’intervento serve se non altro a far sentire la voce dei cristiani palestinesi al di là delle differenze confessionali e di mostrare che molti di loro sono protagonisti nella società civile.

Secondo i firmatari dell’appello il riconoscimento dello Stato palestinese è insieme questione di giustizia e seme di pace. «Mettere fine all’occupazione israeliana è il solo modo per la Palestina – cristiani e musulmani insieme – di godere d’una vita di prosperità e progresso. È anche il modo più sicuro per garantire una duratura presenza cristiana nella nostra Terra Santa e di garantire a Israele quella sicurezza che continua a rivendicare. Senza giustizia non ci sarà né pace né sicurezza». (Fonte: Terrasanta.net)

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