Mi colpisce che nelle stesse ore giunga la notizia Ansa che racconta come Paolo Gentiloni alzi la voce per gridare “un allarme totale” riferito a quanto accade alle minoranze religiose nel mondo. In particolare cristiane, ma non solo. Il nostro ministro degli esteri, per esempio, aggiunge gli Yazidi “che in Iraq rischiano di essere cancellati”.
Sottolineo queste affermazioni perché sono davvero belle notizie. Quando si parla di libertà religiosa si tocca il fondamento della dignità della persona. Essere uomini significa chiedersi che senso abbia la propria vita, cosa voglia dire amare, essere buoni o cattivi, decidere di generare, con chi farlo, e come far diventare tutto ciò un patto che non sia solo tra me e me, ma che divenga qualcosa tra me e te, e quindi tra noi.
Le risposte a queste domande possono essere diverse – anche molto diverse – ma ci deve essere assoluta convergenza sulla necessità di tutelare ad ogni costo la libertà di essere toccati, feriti, coinvolti, da quegli interrogativi. Nessuna civiltà può dirsi tale se non tutela la possibilità di una conversazione interiore alla quale ciascuno non solo ha diritto ma anche dovere: pena cessare di essere uomini. In questo senso, “tutelare le minoranze” è dovere assoluto perché ognuno di noi, quando svolge quel dialogo tra sé e sé, “è minoranza”. Quando si è nel segreto della propria coscienza si è soli, unici, inimitabili, mai esistiti prima. Nuovi. Estranei a tutti tranne che a se stessi. Se si è atei, si è da soli: se credenti si è con Dio. Ma, in ogni caso, precondizione necessaria è la possibilità del dialogo interiore, della domanda. Cristo, il fondatore di una grande religione monoteista, descrive la preghiera, cioè l’azione caratteristica della religione, proprio parlando di quella “solitudine minoritaria”: “quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta, e prega il Padre tuo, che è nel segreto” (Mt 6,6). Difendere le minoranze religiose – cristiane o meno che siano – è difendere la possibilità di quella conversazione segreta. È tutelare l’esistenza dell’angolo più intimo di noi stessi, quello che ci fa vivi.
C’è un’urgenza umanitaria che è quasi nascosta, alla base, di ogni emergenza umanitaria. Anche per essa servono aiuti umanitari e nuovi centri di accoglienza. Riguarda i profughi di tutte le guerre, anche della nostra quotidiana guerra dentro noi stessi. Ha lo scopo di risvegliare una vera coscienza universale di silenzio, di preghiera con o senza fede. Ma comune. Frutto, prima che di un nuovo equilibrio politico, della comune umanità che desidera fare della propria coscienza la casa custodita e protetta. Che accoglie ogni società, comunità, vita.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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