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Attenti all’originale

1291117_712455008780975_911246735_nNel clima politico e sociale di confusione e di incertezze che ci troviamo a vivere in questi tempi, Silvio Berlusconi ha pensato bene di sfruttare l’assist dell’amico-nemico Marco Pannella rappresentato dalla raccolta firme per i dodici referendum sulla giustizia, per il matrimonio breve, per l’abolizione dell’8X1000 alle confessioni religiose ecc. L’occasione presentata era ghiotta perché gli ha permesso di tornare in un contesto particolare sul tema della giustizia, e pertanto delle sue vicende con essa, come ormai fa da diverse settimane prima e dopo la sentenza di condanna che ha ricevuto. Il tema è il motore, rappresenta il demiurgo per il futuro del governo di grossa coalizione targato Letta. Infatti al di là dell’incomprensibile battaglia sull’IMU – date le ricadute negative in termini fiscali che ci saranno in ambito locale e in investimenti su sicurezza e altro – che il governo pare essere riuscito a superare, la vicenda giudiziale di Berlusconi – e non la giustizia in Italia – con i suoi continui risvolti è la questione che sembra reggere le sorti imminenti e future della nostra nazione. Oltre i naturali e immediati ragionamenti politici, morali e intellettivi che la situazione suscita, il problema è serio e ci mostra come e quanto il Paese Italia sia mutato nel corso dei sessant’anni post secondo conflitto mondiale, e non sempre in meglio.

Nella circostanza della firma dei suddetti referendum, Berlusconi ha pronunciato qualcosa che mi pare essere rimasta al palo del dibattito giornalistico nostrano. Ovvero egli ha affermato che se nel ’47 i comunisti avessero “tolto di mezzo” De Gasperi, avrebbero fatto un grosso torto alla nazione e la nostra democrazia oggi non sarebbe quella che è divenuta. Pertanto Berlusconi, che rischia di uscire dal Senato, perché condannato dopo tre gradi di giudizio, si è paragonato ad uno dei più illustri fondatori della nostra democrazia: il leader della DC, incarcerato dai fascisti, con processo di beatificazione in corso Alcide De Gasperi.

Non è la prima volta che Berlusconi si equipara al celeberrimo statista della DC. Famosa, infatti, è la sua affermazione circa la durata e la produttività maggiore dei suoi governi rispetto a quelli del leader trentino. Ma in questo caso le sue osservazioni mi sembrano più gravi. Non per la questione dell’oggettiva differenza di statura umana, morale, culturale e politica che intercorre fra le due personalità e che il cavaliere sembra oscurare, ma perché tale espressione rischia di raccontare un vivere e un realizzare le dimensioni della politica in condizioni del tutto diverse e innaturali rispetto agli anni successivi alla seconda guerra mondiale.

Gli avversari di De Gasperi, ovvero il Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti, mai e poi mai avrebbero “tolto di mezzo” tramite la giustizia il segretario del più grande e rappresentativo partito italiano, non ne avevano il minimo motivo. Invece attraverso il linguaggio, la metodologia e l’impegno politico cercarono con grandi sforzi di impedirgli di governare poiché possedevano e volevano proporre un’idea alternativa di società. Questo dato è molto importante. Esso ci dice che in quegli anni la questione era prettamente politica e pertanto riproduceva le istanze collettive di un’intera nazione. Oggi le vicende sono meramente e miseramente personali. Il PDL, come diversi e diversi altri partiti, esiste non per manifestare rappresentanza sociale e ideale di almeno una parte degli italiani, ma per difendere gli interessi del proprio leader. Tutto questo era impossibile ai tempi di De Gasperi e di Togliatti. Dunque, nonostante le promozioni e le facili occasioni bisogna stare sempre attenti a scegliere l’originale. Sebbene costi più fatica rispetto alle battute pronunciate tra un telegiornale e un banchetto di raccolta firme, alla fine conviene sempre rifarsi all’esempio di chi ha servito l’Italia e la collettività e raffigura dopo più di sessant’anni uno dei pochi lucidi esempi per le future generazioni. Per ripartire non si può che seguire l’esempio di questi personaggi che in mezzo alle macerie hanno trovato uno spirito fecondo di ricostruzione. Oggi le nostre macerie non sono materiali ma morali, di formazione culturale e di educazione politica. La sfida sarà meno difficile da affrontare e superare rifacendosi all’originale.

Rocco Gumina

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