Sembrava si potesse finalmente iniziare a pensare ai problemi dell’Italia, e invece no: la condanna di Berlusconi e la successiva decadenza da parlamentare hanno spazzato via anche le larghe intese, restringendole a una maggioranza che oggi si regge in piedi con difficoltà e che non ha ancora lasciato il segno. I partiti che sostenevano il governo Letta si sono spaccati (Pdl, Scelta civica) oppure hanno subito un terremoto interno (Pd, con l’elezione di Renzi); le uniche a sopravvivere sono state le opposizioni (Cinquestelle, SEL, Lega, Fratelli d’Italia), che nell’anno appena trascorso hanno avuto buon gioco a denunciare immobilismo ed errori. Neppure da parte loro, però, c’è stato un contributo serio e costruttivo: l’impressione è che per comodità e convenienza elettorale si sia preferito giocare allo sfascismo, al “muoia Sansone”, alla delegittimazione dell’avversario e alla sua demonizzazione.
È l’Italia di sempre, insomma, anche se magari sono cambiati alcuni attori e se una nuova generazione sembra ormai sul punto di rubare la scena a quella precedente: è come se alla politica, capace solo di replicare vecchi schemi, mancasse davvero un’anima. In tutto questo, la presenza cristiana non pare aver offerto un contributo rilevante al miglioramento del clima: in Parlamento non mancano donne e uomini cristianamente impegnati, ma al di là della testimonianza personale non riescono ad incidere molto. E così i poveri, i deboli, le famiglie sono ancora una volta ai margini del panorama legislativo: le poche volte in cui il dibattito si accende, e nel 2013 molto meno del solito, è soltanto su questioni di bioetica o di morale sessuale.
Da osservatore esterno, dopo quasi 5 anni trascorsi a Montecitorio, auguro ai protagonisti della politica italiana un 2014 scomodo: scomodo come quegli auguri di Natale che scriveva don Tonino Bello, pregando “gli angeli che annunciano la pace” di portare guerra alla “sonnolenta tranquillità” di molti. Ai cittadini e agli elettori, invece, auguro di non perdere mai la speranza e la fiducia nell’impegno al servizio della società: è il disimpegno diffuso, semmai, il miglior alleato di chi non vuole cambiare nulla.
Andrea Sarubbi
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