Spesso mi trovo a pensare ai bambini, nati e cresciuti nei paesi della guerra: cosa passa nella loro mente, nel loro cuore? Chissà se gli uomini di potere, quelli che commerciano armi, hanno ritratti di bambini sulle loro scrivanie! Forse no, o se li hanno, non sono certamente quelli del «nemico», perché i bambini del «nemico» non hanno diritto a vivere.
I miei sono pensieri ingenui: la guerra ha sempre travagliato la vita e la storia degli uomini, ma rimarrà sempre un’utopia pensare a una cultura di pace o attingere ad argomenti di cuore per fermare il corso della storia, che ha vissuto momenti di guerra, spesso lunghi, e di pace, spesso brevi? E davvero illusorio sognare «la pace perpetua che non sia quella che di solito vediamo scritta sui frontoni dei cimiteri», come scriveva Kant? Personalmente amo credere che la pace sia possibile.
L’amo credere perché è cambiata la situazione di rapporti tra le grandi potenze, l’amo credere nonostante il permanere di «zone calde» in Oriente e nel mondo.
Non riesco a condividere certi pessimismi, come «il paradosso » di quel rabbino che, intervistato sulla possibilità di una nuova guerra, rispondeva in forma scherzosa e seria: «Non ci sarà un’altra guerra! Ma la lotta per la pace sarà così intensa che non resterà pietra su pietra!».
Neppure riesco ad accettare quanto Canetti scrive in Masse e potere: «Oggi un uomo singolo può senza fatica annientare buona parte dell’umanità. Il potere può scatenare devastazioni che superano tutti i castighi di Dio concepiti dall’uomo e messi insieme».
Oggi fra decisione e azione non passa più che un istante, ma Gengis Khan, Tamerlano, Hitler, paragonati alle nostre possibilità sono dei miserabili apprendisti. Siamo onnipotenti come Dio, ma insieme siamo incoscienti come bambini che litigano per un giocattolo e che sono disposti per questo giocattolo a sfidare la propria vita e quella degli altri».
La pace è possibile ed è una frontiera della coscienza, che porta alla riscoperta di valori etici, al rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignità della persona umana, che diventa la «fondamentale norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico» (Giovanni Paolo II).
La pace è un dono per tutte le persone e per tutte le genti del mondo. Nessuno ha il monopolio particolare di questo dono-diritto. E per non vivere solo nel sogno, nell’utopia, bisogna dare concretezza a questa voglia di pace, combattendo ogni minaccia di guerra nucleare, invertendo la marcia dello sfruttamento dei popoli del Terzo Mondo, fermando quell’irrazionale processo di sfruttamento e di distruzione della natura, che ci porta alla morte ecologica.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
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