Non una volta.
Ecco un esempio: “C’è tempo fino a stasera e basta. No, questa cosa ha un senso, non ho bevuto né niente. E comunque domani si vedranno le differenze”. È per questo che rimaniamo fermi e la croce rimane al muro. Perché prendere la croce vuol dire che la parola sta a noi. Non ci sarà nessuno a dirci perché. Ma sono io. Io mi devo dire perché sei un’estranea che mi abitava in casa. Ti ho partorito, magari. O forse ti ho dato il mio cognome. O eri sul mio registro di classe. O eri nel mio confessionale di prete. Magari.
E comunque eri sempre nel mio cuore e nei miei pensieri. Perché non eri nelle mie orecchie? Per ascoltarci, bisogna esserci. Non basta un sms, un whatsapp. Ci vuole la faccia, lo sguardo, le mani per capire se tvb è vero. Se Ok è vero. Se “ci vediamo stasera è vero”. Perché lo hai pubblicato, postato, twittato, e non me lo hai detto? Perché c’era la connessione e invece io non c’ero? “Questo posto non fa per me” . Bruttissimo post su fb. Non sembra minacciosa come frase. Ne dicono di peggio gli adolescenti. Ne urlano di peggio. Ora che il suo corpo è stato ripescato. Ora che si parla di suicidio si dice che era “la via più temuta”.
Viene voglia di trovare degli esperti per cercare una via di fuga dal senso di colpa, dal peso di essere sopravvissuti ai propri figli, nipoti, alunni, amici. Gli esperti ci danno “indicatori di disagio” quali: comportamenti ostili, aggressività, consumo di alcool e droga, e così via che però, peccato, sono il ritratto del 90% degli abitanti delle camerette delle nostre case. D’altra parte si può chiedere aiuto in tanti modi, anche solo con gli occhi. Eccolo il problema, la “malattia”, che non è la loro ma la nostra. Di noi adulti.
Dove siamo? Siamo dove c’è c’è la connessione, ma gli sguardi non entrano in un sms. Ci sono cose che non si possono inviare. Ci vuole un genitore, anche se non capisce niente, anche se è il solito che non ascolta; un insegnante, anche se è uno tosto; un prete, anche se figurati che ci capisce quello.
Dove siamo? Ora siamo tutti intorno alla mamma di Martina che non è voluta andare a riconoscere la figlia. Accanto al padre, che invece è andato. Accanto agli amici a guardarli negli occhi e ad ascoltare il loro silenzio. “Questo posto non fa per me”.
Ti sbagliavi, Martina. Ci sbagliavamo, Martina. Questa croce non fa per me. Ecco. Ora non sbagliamo di nuovo e prendiamoci tutti, tutti noi adulti, educatori, questa croce. E noi che non abbiamo fatto, detto, ascoltato, facciamolo, stando sotto la croce di questo dolore, perché si può essere “invisibili” anche nella piena visibilità di un social. di Don Mauro Leonardi (Prete e Scrittore)
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