Categorie: Italiae et Ecclesia

Raccontare i migranti, testimonianze dalla Sicilia

È Tonino Solarino, presidente della fondazione “San Giovanni Battista” di Ragusa – che gestisce cinque centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e un centro di prima accoglienza -, a descrivere al Sir uno spaccato della realtà migratoria nella diocesi iblea. Nella sua gestione rientrano circa 150 persone ogni anno, che arrivano quasi tutte dall’Africa centrale: “Raccontando le loro storie – commenta – bisogna evitare di cadere nella trappola della retorica, ad esempio cavalcando l’onda dell’emotività”. Il rischio, infatti, è che ci siano aree di insofferenza da parte dei cittadini, che “assistono ad una diminuzione delle risorse in loro favore, dirottate verso l’emergenza sbarchi”. I mezzi d’informazione giocano un ruolo importante per “evitare allarmismi ingiustificati e falsi pregiudizi”, rispetto ad un fenomeno che è “ormai un dato di fatto, e non conosce rallentamenti”. Difficile fermare l’arrivo dei migranti senza soluzioni politiche; per questo si può solo pensare a “come accogliere, e possibilmente integrare” questi uomini e donne disperati. “Ognuno deve fare la sua parte, anche la Chiesa”, fa notare Solarino. Per fortuna nella diocesi di Ragusa c’è una buona sinergia fra le istituzioni. Rimane però l’isolamento della Regione Siciliana, che “ha l’onere quasi esclusivo dell’accoglienza e non può essere lasciata sola”. 

“Rispetto ad altre realtà siciliane, nella diocesi di Mazara del Vallo si sperimenta una fruttuosa convivenza tra italiani e popoli diversi (in prevalenza tunisini e da qualche tempo anche albanesi), sia nelle scuole, sia nella realtà ecclesiale”. Lo dice al Sir Max Firreri, addetto stampa della diocesi di Mazara e coordinatore di redazione del quindicinale diocesano “Condividere”. “La nostra – come ripete spesso il vescovo Domenico Mogavero (che è anche membro della Commissione episcopale Cei per le migrazioni) – è una diocesi di prossimità”. Questa convivenza è stata raccontata in diversi servizi del giornale diocesano: un esempio emblematico è dato dalla “Fondazione San Vito”, in cui “si sviluppano progetti di integrazione che vedono insieme mazaresi, tunisini e marocchini, perlopiù di seconda generazione”. “Siamo molto attenti – conferma Firreri – alle storie di questi ragazzi, paradigmatiche di un modo positivo di fare accoglienza”. “Mi piace ricordare ad esempio – aggiunge – l’esperienza di Ayouba Dabre, un ragazzo sbarcato a Pantelleria e accolto a casa da un giovane salesiano di Marsala. Ora questo ragazzo è maggiorenne, ha trovato un lavoro e si è integrato nel tessuto locale”. Certamente anche nella diocesi mazarese rimangono difficoltà: “Il primo ostacolo è la diversità della lingua”, a cui si cerca di ovviare con l’aiuto di mediatori culturali. 

“Il tema dei migranti era inconsueto per la città di Catania, tradizionalmente esclusa dai flussi migratori. E invece da circa un anno tutto è cambiato”. Filippo Cannizzo, addetto stampa di Caritas Catania, descrive così al Sir il profondo mutamento di prospettiva che la città etnea si è trovata ad affrontare negli ultimi mesi. “Da marzo 2014 ad oggi, in particolare, è iniziata una vera e propria emergenza”, a cui è seguito “un impegno continuo di Caritas e Migrantes per la prima accoglienza, grazie anche alla collaborazione fra i due direttori Piero Galvano e Giuseppe Cannizzo”. Catania non è una città razzista e “si è sperimentata una solidarietà spontanea fra le povertà locali e quelle emergenziali dei migranti”, che si sono ritrovati ad esempio a “condividere le nostre mense di carità”. Ma i pregiudizi sono duri a morire, “perché la gente pensa che i migranti abbiamo più privilegi rispetto ai cittadini”. Da qui la necessità di “avviare una campagna di sensibilizzazione con i nostri mezzi di informazione” per “ristabilire la verità dei fatti”; a breve, ad esempio, è previsto a Catania “un incontro pubblico sul tema delle false credenze”. Altro compito da cui i giornalisti non possono esimersi è “tenere sempre desta l’attenzione”: “Noi lo abbiamo fatto – conferma Cannizzo – denunciando le condizioni in cui i migranti erano accolti in alcune strutture”. Fonte: Agensir

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