Categorie: Finis Mundi

Presentata a Roma la Rete ecclesiale panamazzonica. Spegniamo i motori e fermiamoci

Papa Francesco parlando ai vescovi brasiliani disse nel 2013 a Rio de Janeiro, in occasione della Giornata mondiale della gioventù, che «l’Amazzonia è un banco di prova per la Chiesa e per la società» e lanciò «un forte richiamo al rispetto e alla custodia dell’intera creazione che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino».

La Chiesa latino-americana — già da diversi anni impegnata per rispondere alle sfide regionali che presenta il contesto amazzonico — ha raccolto questo invito e lo scorso settembre ha dato vita al progetto della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). La Rete ha in programma a Roma, il 2 e il 3 marzo, un incontro di coordinamento e, nell’occasione, è stata presentata in una conferenza tenutasi nella mattina di lunedì 2 marzo nella Sala stampa della Santa Sede. L’incontro è stato guidato dal vicedirettore, padre Ciro Benedettini.

L’appuntamento è stato voluto a Roma — ha spiegato il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace che patrocina il progetto — a testimonianza dell’impatto transnazionale della problematica e del coinvolgimento di tutta la Chiesa, che vuole dare la più ampia visibilità a questo modello operativo: un modello che potrà diventare utile in diversi e fondamentali ambiti quali la giustizia, la legalità, la promozione e la tutela dei diritti umani, lo sviluppo inclusivo ed equo, l’uso responsabile e solidale delle risorse naturali.

Ma cosa è la Repam? Lo ha spiegato in un contributo audio il cardinale Cláudio Hummes, presidente della Commissione per l’Amazzonia della Conferenza episcopale del Brasile: «Nei nove Paesi latinoamericani che includono il territorio amazzonico, la Rete vuole unire gli sforzi della Chiesa in favore della custodia responsabile e sostenibile di tutta la regione, al fine di promuovere il bene integrale, i diritti umani, l’evangelizzazione, lo sviluppo culturale, sociale ed economico del suo popolo, specialmente delle popolazioni indigene». La Chiesa in Amazzonia, ha detto il porporato, «vuole “fare rete”, per congiungere gli sforzi, per incoraggiarsi reciprocamente e avere una voce profetica più significativa a livello internazionale».

Ancora più nel dettaglio sono scesi l’arcivescovo Pedro Ricardo Barreto Jimeno, presidente del Dipartimento giustizia e solidarietà del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), e Mauricio López Oropeza, segretario esecutivo della Repam. Richiamando anche quanto affermato nel documento di Aparecida (2007), il presule ha descritto l’immensa realtà amazzonica e sottolineato come questo territorio sia «devastato e minacciato» dalle grandi imprese estrattive, dalle monocolture, dalla deforestazione, dai cambiamenti climatici; e oltre a questo, non meno devastante è la distruzione della cultura e dell’autodeterminazione dei popoli.

Tutto ciò, ha spiegato López Oropeza, non è solo un problema locale: l’impatto «non riguarda solo le popolazioni direttamente coinvolte, ma tutti noi». Tutti siamo chiamati, ha detto, «a una genuina conversione per rispetto al futuro dell’umanità». Quello dell’Amazzonia è un dramma planetario. «Insieme alla foresta del Congo», ha detto Michel Roy, segretario generale di Caritas internationalis che è coinvolta nel progetto Repam, «l’Amazzonia è forse ciò che resta di più prezioso per il pianeta» ed è «nostra responsabilità “spegnere i motori” e fermarci. Fermarci dal voler produrre a ogni costo, dal saccheggiare e distruggere, fermarci dallo spogliare i popoli dell’ambiente che permette loro di vivere, con la loro cultura e le loro ricchezze umane».

«L’Amazzonia — ha tenuto a precisare l’arcivescovo Barreto Jimeno — non è semplicemente il polmone della terra, ma è una fonte di vita nel cuore della Chiesa». Perciò la Repam, come ha spiegato López Oropeza, è in cerca di un «modello solido che permetta di collaborare anche all’esterno della rete ecclesiale»: importante, ha detto, anche il coinvolgimento delle università, cattoliche e non. Tutte le competenze sono chiamate a dare un contributo.

E l’importanza del “fare rete” è emersa anche dal dibattito seguito alle relazioni. È intervenuto infatti il vescovo Fridolin Ambongo Besungu, della Repubblica democratica del Congo, presidente della locale commissione per le risorse naturali, il quale ha messo in parallelo la situazione amazzonica con quella della foresta equatoriale, dove «non appena viene scoperta una risorsa, che siano minerali preziosi o petrolio, si sa già che scoppierà una guerra». L’arcivescovo Barreto Jimeno ha immediatamente messo a disposizione l’esperienza della Repam per poter dar vita a un’analoga rete di collaborazione ecclesiale anche in Africa, e il cardinale Turkson ha detto che il Pontificio Consiglio sarà lieto di appoggiare un’iniziativa di questo genere.

L’Osservatore Romano, 3 marzo 2015.

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