Alessandro De Carolis – Città del Vaticano per Vaticannews.va
È un intreccio di anime, il rumore silenzioso della preghiera che tocca e rincuora mentre il rombo delle artiglierie uccide e terrorizza. C’è un che di biblico nei chiaroscuri del mondo, che ha dimenticato il serpeggiare della pandemia davanti ai fragori di una guerra impensabile: la voce di Dio che non è udibile nel fastuono ma nella brezza leggera. Brezza della preghiera del Papa, delle Chiese sul pianeta, che unisce idealmente all’Ucraina i cuori di un popolo che, mentre i confini si irrigidiscono o vengono annientati, si riconosce nella geografia senza limiti della fede.
Come una goccia di sapienza, Francesco ricorda nel suo tweet di oggi dal sapore quaresimale che “preghiera, carità e digiuno non sono medicine solo per noi, ma per tutti: possono infatti cambiare la storia, perché sono le vie principali che permettono a Dio di intervenire nella vita nostra e del mondo. Sono le armi dello spirito”. Da Kiev, in una pausa dalle bombe, risponde idealmente con un post l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, davanti allo scenario tragico di un Paese visto attraverso il velo di un “mare di lacrime”: “Impariamo ad amare in questo periodo tragico. Non permettiamo all’odio di imprigionarci, non usiamo il suo linguaggio e le sue parole”.
Due modi di opporsi dilatando quello spazio resiliente su cui le bombe non possono cadere, quello dell’anima, dove sfuma l’insensatezza della guerra davanti al senso delle cose di Dio. Accanto alla preghiera l’arcivescovo ucraino confida la pena per l’ultimo capitolo prodotto dal conflitto, l’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhya, che si è fermato a pochi metri da “una catastrofe umanitaria”, dalla “possibilità – dice nel suo videomessaggio quotidiano – di infliggere un colpo irreparabile alla creazione di Dio”, tanto più impressionante per un Paese che ha conosciuto gli effetti di Chernobyl.
Ma è in pena, monsignor Shevchuk per l’altro mare che agita la sua terra, la lunga teoria di connazionali in fuga, che ingrossa ai confini occidentali. “Care figlie e figli del nostro popolo, vi dico: vi aspettiamo di ritorno a casa, vi aspettiamo di ritorno quando sull’Ucraina ritorna il cielo sereno”.E intanto ringrazia gli ucraini in Canada, Stati Uniti ed Europa occidentale “che accolgono i rifugiati e stanno raccogliendo aiuti umanitari”. “Possano le forze della nostra preghiera”, è l’ultima invocazione, “diventare uno scudo di fede per la nostra Patria”.
Da Leopoli, la brezza della preghiera si spinge fino a Fatima. “Ci affidiamo alla misericordia di Dio e anche della Vergine” del santuario portoghese, dice a Radio Vaticana – Vatican News monsignor Mieczysław Mokrzycki, arcivescovo di Lviv dei latini. In Ucraina si spara e si muore e dove non si spara, racconta il presule, cerchiamo di accogliere i profughi e di dargli da mangiare “e siamo molto grati – aggiunge -alla Conferenza episcopale italiana, ai sacerdoti, ai nostri cari amici che sono sempre disponibili e con il cuore aperto, non soltanto con le preghiere, ma anche con l’aiuto umanitario nei riguardi della gente, dei bambini profughi, pronti ad aprire le porte delle loro cliniche e dei loro ospedali”
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