Non sia soltanto memoria

25 maggio 2013. Insieme ad un gruppo di giovani-amici della parrocchia san Pio X di Caltanissetta, mi recavo a Palermo per assistere alla celebrazione per la beatificazione di don Pino Puglisi. È stata una giornata di sole, di amicizia, di preghiera. Abbiamo ricordato e pregato per un uomo che nell’assoluta normalità aveva generato un sistema in grado di far preoccupare – e molto – un altro sistema, quello di “Cosa nostra”. 23 maggio 2014.

Come ogni anno, giunge a Palermo la “nave della legalità” per ricordare – in occasione dell’anniversario della tragica morte di Falcone, di sua moglie e della sua scorta – uomini e donne che con coraggio ed impegno hanno combattuto la mafia. Un evento, quest’ultimo, di caratura nazionale che vede protagonisti ormai da tempo le scuole di tutta Italia, ma anche associazioni, rappresentanti delle Istituzioni ad ogni livello. A più di vent’anni dalla scomparsa per mano mafiosa di Falcone, Borsellino, Puglisi, Livatino e molti, molti altri, possiamo certamente affermare che si è presa coscienza della tragicità del fenomeno mafioso.

Nelle scuole si realizzano, durante le attività didattiche, percorsi sulla legalità. In politica come nell’impresa, abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un nuovo corso fondato a partire dalla legalità. La magistratura è impegnata in maniera costante per assicurare alla giustizia i criminali appartenenti alle cosche. In tutta la società civile, la legalità è una questione prioritaria. Però, dinanzi ad un periodo congruo misurato in anni di arrivi della “nave della legalità” a Palermo e pertanto di percezione profonda della problematicità del fenomeno mafioso, bisognerebbe chiedersi se tutto questo possa bastare. Infatti, occorre capire il perché la mafia abbia acquisito un profilo relativamente basso, ma che gli permette di operare in tutta Italia e oltre, e nello stesso tempo attuare – quando necessita – la stessa ferocia assassina del passato come nel caso del recentissimo omicidio di Di Giacomo in un quartiere storico di Palermo. Il doveroso ricordo delle vittime e la consapevolezza circa la loro testimonianza, possono bastare per scardinare definitivamente la struttura mafiosa? E soprattutto, la questione della legalità in chiave politica, imprenditoriale e civile, espressa a tratti in maniera dogmatica, non ha nessuna autocritica da fare? Come società intera abitata da cittadini maturi e consapevoli, siamo sicuri che, pur se collocati sulla strada giusta, non ci sia davvero nulla da migliorare in essa?

Bisogna affermare per dovere e con onestà che molto è stato fatto, ma che molto resta da fare. E dobbiamo avere coscienza che quanto bisogna ancora realizzare non ha una quantità spazio-temporale ben delimitata. Gli arresti di politici e imprenditori a livello nazionale e locale per convivenza con la mafia, mostrano che essa è tuttora ben radicata e forte. A livello civile come su quello ecclesiale, è altrettanto evidente che si stia lavorando affinché sorga una generazione che possa dire di no alla mafia con una cultura basata sulla lealtà ancor prima della legalità. La stessa comunità ecclesiale alla luce della testimonianza martiriale di Puglisi, di Livatino e di molti altri – che nel silenzio si oppongono alla mafia a partire e in vista di Cristo – deve ancor meglio maturare orientamenti pastorali – soprattutto a livello locale – in grado di interrogarsi alla luce della fede sulla presenza, anche se silenziosa, della mafia e così operare, come aveva ben argomentato mons. Cataldo Naro, in vista di una “resistenza cristiana al fenomeno mafioso”. A livello politico, converrebbe chiedersi il perché a tutto oggi interi territori abitati da cittadini italiani e stranieri non offrano una reale alternativa di lavoro, di sviluppo e di futuro che non sia legata alle metastasi mafiose.

I ragazzi che sono cresciuti con don Pino Puglisi hanno conosciuto una particolare pervasività del fenomeno mafioso. I giovani studenti salpati ieri a Palermo da tutta Italia, sono consapevoli di una presenza negativa nella società – chiamata mafia – che opera per meri interessi personali. I figli, o i nipoti, dei giovani salpati ieri a Palermo dovrebbero parlare della mafia come di un’organizzazione umana che ha avuto un inizio, uno sviluppo, un decadimento e una fine. Per giungere a ciò, insieme – con spirito critico e prassi collaborativa – dobbiamo avere memoria di chi liberamente ha offerto la propria esistenza per la lotta alla mafia, ma anche attualizzazione personale e comunitaria di tali testimonianze. Di Rocco Gumina

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