Al fine di accendere i riflettori su questa patologia, in molte città verranno illuminati di blu – il colore dell’autismo – alcuni monumenti ed edifici simbolo del luogo: su un palco ci sono delle biciclette e tutti possono avvicendarsi a pedalare 10 minuti e così produrre l’energia elettrica che accenderà di blu la città.
Chi ha inventato questo modo di comunicare la Giornata, deve essere un genio. Sì, perché il fatto di essere in tanti a coinvolgersi un poco per produrre la luce che illumina, fa capire che l’autismo sfida tutti a sapersi inventare energie nuove: magari poche, ma di tante persone.
Parliamoci chiaro: in primo luogo il passo in avanti lo devono fare le autorità civili. Perché l’autismo colpisce i bambini, ma i bambini crescono e la malattia con loro. Diventano adolescenti e la malattia con loro. Diventano maggiorenni, e la malattia con loro. “L’autismo non finisce a 18 anni. Vi siete mai chiesti – dice Francesca Gheduzzi – che fine fa un ragazzo con disturbo dello spettro autistico quando, vista l’età, la sua famiglia non può più fare riferimento ai servizi territoriali per la tutela della salute mentale e la riabilitazione in età evolutiva?”. Rimane solo: lui e la famiglia che lo assiste. E questa solitudine, drammatica per tutti, in questo caso è un’autentica tragedia. Con assistenze e terapie mirate e continue si progredisce millimetricamente, invece una famiglia sola e disorientata può ben poco. La giornata di domani deve sottolineare che c’è un grave buco istituzionale da colmare. Non si può fermare l’assistenza pubblica ai 18 anni perché l’autismo non finisce a 18 anni.
Poi, dopo le istituzioni, arriviamo noi, la gente qualsiasi. L’autismo ci riguarda tutti non solo perché, secondo gli studi epidemiologici, i tassi d’incidenza dell’autismo sono in costante aumento, ma perché richiede risposte specifiche che vanno oltre la semplice cura: la presa in carico delle persone autistiche – dice Giovanni Coletti – impone la collaborazione e l’interazione di varie operatori che vanno dalla scuola alla sfera sanitaria, senza dimenticare l’imprescindibile coinvolgimento delle famiglie.
Però non è solo questione della persona affetta da autismo, della sua famiglia e degli operatori sanitari: ci vuole una rete sociale. Posso non sapere tutto sull’autismo ma devo saperne qualcosa in più. Perché posso e devo contribuire con quello che sono e con quello che posso. E per farlo debbo uscire, debbo trovare 10 minuti per pedalare, soprattutto non debbo chiudere la porta alla conoscenza, a quella famiglia che ha il figlio a scuola con uno dei miei, o abita nel mio palazzo, o viene in vacanza dove sono io. Domani, in molte città, la luce blu illuminerà dei monumenti che quasi sempre sono opere d’arte: ricordiamoci che anche i nostri figli sono delle opere d’arte. Applichiamo loro cuore, intelligenza, gambe. E 10 minuti.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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