La Messa di ringraziamento (la prima in arabo a Santa Maria Maggiore) per le due sante palestinesi

«Abbiamo adesso due nuove sante che sono un modello di perfezione per i cristiani come per i musulmani e gli ebrei, perché hanno servito tutti. Tutte e due si chiamano Maryam, nome comune alle tre religioni. Questo è un segno per il nostro tempo. Vuol dire che le tre religioni possono dialogare assieme senza discriminazione».

Così commenta il sacerdote giordano Rifat Bader, direttore del Catholic Centre for Studies and Media di Amman al termine della messa di ringraziamento che si è tenuta questa mattina nella basilica papale di Santa Maria Maggiore per la canonizzazione delle suore palestinesi Maria Alfonsina Danil Ghattas e Maria di Gesù Crocifisso Baouardy. 

È stata la prima messa nella storia di secoli celebrata in lingua araba nella Basilica romana dedicata alla Theotokos. Ad assistere alla messa, celebrata dal 

Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, i numerosi fedeli provenienti dalla Palestina, dalla Giordania e da Israele che hanno cantato in arabo. Nell’omelia il patriarca ha espresso la gratitudine per avere adesso, dopo tanti secoli, due «sante della nostra terra, intercessori e protettrici, che comprendono e parlano la nostra lingua» e si è soffermato nuovamente sull’umiltà e la rettitudine vissuta dalle due donne nel loro servizio aperto a tutti: cristiani, ebrei e musulmani, senza discriminazioni.

«Il fatto che le canonizzate siano arabe, e cristiane palestinesi ha un significato molto importante nei conflitti che stiamo vivendo. I cristiani arabi della Palestina si sentono più incoraggiati, sostenuti, sentono che la loro voce è ascoltata», ha affermato il patriarca. 

Raed Abusahlia, direttore generale della Caritas di Gerusalemme, ha fatto notare che la maggior parte dei palestinesi venuti per la canonizzazione non erano mai usciti dal territorio. «Noi cristiani arabi in Palestina non siamo una minoranza perseguitata o minacciata, viviamo da sempre una convivenza pacifica con i musulmani. Ma in quanto arabo-palestinesi, insieme ai nostri fratelli di fede musulmana, subiamo le stesse conseguenze delle limitazioni di movimento, delle pressioni e dell’occupazione imposte da Israele nei confronti della popolazione palestinese». 

Il direttore della Caritas ha voluto anche ricordare il recente forte sostegno della Santa Sede per fermare la costruzione del muro di separazione nella valle di Cremisan che avrebbe soffocato la vita non solo dei conventi e delle famiglie cristiane proprietari di quelle terre. Ed ha rilevato come anche la coincidenza della firma dell’accordo tra Stato di Palestina e Santa Sede, dopo quattordici anni di trattativa, sia giunta positivamente in questo contesto. È un modello che ora si spera possa essere raggiunto anche con lo Stato di Israele. «È stata significativa la presenza di alcuni imam palestinesi e degli ambasciatori israeliani alla canonizzazione celebrata da papa Francesco», afferma William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, «così è da considerare positivamente anche l’ampia delegazione palestinese che ha accompagnato Abu Mazen per onorare due cittadine della sua terra». «Il premier – aggiunge il vescovo Shomali – è venuto perché ha sentito la necessità e il dovere di venire, non per uno show politico. Dopo l’incontro avuto al termine della celebrazione con il Papa personalmente si è sentito toccato per l’accoglienza. “Non dimenticherò mai questi giorni” mi ha detto».

Di Stefania Falasca per Avvenire

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