Categorie: Caritas et Veritas

La creazione canta la discesa di Dio

La giornata di preghiera per la cura del creato, indetta per il 1° settembre da Papa Francesco, coincide nella tradizione liturgica bizantina con l’inizio dell’anno. È il mese delle ultime raccolte e dell’inizio della preparazione per un nuovo ciclo della vegetazione, e quindi un momento propizio per ringraziare Dio per la provvidenza verso tutta la creazione e soprattutto per l’opera della redenzione in Cristo, incarnatosi per portare tutto all’unità e riconciliare gli uomini in se stesso. Nello stesso giorno si celebra la festa di san Simeone Stilita, vissuto in Siria nel v secolo come monaco e solitario su una colonna.

Nei testi liturgici si mette in luce come la lode della creazione intera sgorga dalla passione, morte e risurrezione di Cristo, mistero che rinnova l’uomo e la creazione: «Tu che col tuo volere fai tutte le cose e le trasformi, e con la tua passione volgi l’ombra di morte in vita eterna, o Verbo di Dio, noi tutte, opere tue, incessantemente quale Signore ti celebriamo e ti sovraesaltiamo per tutti i secoli. Dal tuo fianco trafitto le gocce di sorgente divina del tuo sangue vivificante, o Cristo, stillando a terra conforme all’economia hanno riplasmato i nati dalla terra».

Nel grembo di Maria, quasi nuovo paradiso e nuova fornace, l’uomo viene riplasmato e ricreato in Cristo: «Noi fedeli ti contempliamo, o Madre di Dio, quale spirituale fornace: come salvò i tre fanciulli, così colui che è sovraesaltato ha interamente riplasmato me, l’uomo, nel tuo grembo, lui, il Dio dei padri». E la creazione stessa partecipa con l’umanità al mistero della redenzione: squarciatosi il velo del tempio di fronte alla croce di Cristo, il sole si oscura e si avvolge di tenebra per la sua passione finché il suo sepolcro risplende: «La tua tomba, sorgente della nostra risurrezione, o Cristo, si è rivelata portatrice di vita, più bella del paradiso, più splendente di qualsiasi talamo regale».

Il mistero dell’incarnazione, la “discesa di Dio” cantata dalla liturgia bizantina, è la causa e la sorgente della lode degli angeli e dei fanciulli nella fornace, immagine dell’umanità e di tutta la creazione: «Il glorioso annientamento, la divina ricchezza della tua povertà, o Cristo, rende attoniti gli angeli che ti vedono inchiodato sulla croce. Il fuoco ebbe paura un giorno a Babilonia di fronte alla discesa di Dio. Per questo i fanciulli, quasi danzando in un prato, salmeggiano: Benedetto tu, o Dio, Dio dei padri nostri».

Nella liturgia, l’inizio dell’anno appare come una nuova creazione e viene messa in evidenza la figura di Cristo come creatore. Per questo la sua benedizione sul nuovo anno è vista come l’azione della sua mano creatrice e provvidente sul mondo e sulla Chiesa: «Tu che hai creato l’universo con sapienza, Verbo del Padre che sei prima dei secoli, e hai formato tutta la creazione con la tua parola onnipotente, benedici la corona dell’anno della tua benignità per intercessione della Madre di Dio e di tutti i tuoi santi».

Alcuni testi riecheggiano un brano del vangelo di Luca (4, 16-22) e introducono il tema di Cristo maestro della sua Chiesa: «Tu che un tempo sul monte Sinai hai scritto le tavole della Legge, tu stesso, nella carne, hai ricevuto a Nazareth un libro profetico da leggere, o Cristo Dio, e apertolo insegnavi ai popoli che in te si era compiuta la Scrittura. Appresa la preghiera dal divino insegnamento a noi impartito da Cristo stesso, gridiamo ogni giorno al creatore: Padre nostro, che dimori nei cieli, donaci il pane quotidiano, senza far conto delle nostre colpe».

Nella preghiera, infine, si invoca la protezione del Signore su tutta la creazione: «Tu, o re, tu che sei e rimani per i secoli senza fine, ricevi la preghiera dei peccatori che chiedono salvezza, e concedi, o amico degli uomini, fertilità alla tua terra, donando climi temperati, per l’intercessione della Madre di Dio. Artefice di tutto il creato, che hai posto in tuo potere tempi e momenti, benedici la corona dell’anno della tua benignità, Signore, custodendoci nella pace».


di Manuel Nin per L’Osservatore Romano

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