Categorie: Sancta Sedes

Il Papa nelle periferie-laboratorio della sua America Latina

Papa Francesco in l’Ecuador, Bolivia e Paraguay: Paesi poveri che stanno faticosamente migliorando la loro condizione dopo anni di dittature militari, instabilità politica ed economica.

È il primo viaggio del Papa in Paesi nei quali potrà esprimersi con la sua lingua madre: oggi Francesco parte per una trasferta di otto giorni che lo porterà in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Un viaggio lungo, il primo ritorno di Bergoglio in quel Sud America ispanofono dal quale era partito a fine febbraio 2013 per venire al conclave. E anche qui, come per l’Europa, il Papa mostra di voler entrare non dalla porta principale rappresentata dai Paesi più grandi e più forti, ma da quella delle periferie ancora bisognose di attenzione, anche se emergenti.

C’è un dato che accomuna Ecuador, Bolivia e Paraguay: l’essere riusciti ad avviare processi di sviluppo che coinvolgono i contadini indios e incorporano – come ha osservato Guzmán Carriquiry, il segretario incaricato della vicepresidenza della Commissione vaticana per l’America Latina – «i ceti più bassi all’interno del processo di modernizzazione e di sviluppo». In qualche modo, pur con molti limiti e tensioni sociali tuttora irrisolte, un esempio di come sia possibile coniugare un miglioramento della situazione economica generale intraprendendo vie nuove e partecipate.

A Quito, la capitale ecuadoregna, Francesco si troverà faccia a faccia con problemi simili a quelli da lui conosciuti a Buenos Aires: una grande metropoli, meta di immigrazione da parte di uomini e donne in cerca di lavoro, soprattutto indigeni, che arrivano dalle campagne per sfuggire alla miseria. In Ecuador dal 2006 c’è un presidente di sinistra al suo terzo mandato, Rafael Correa, che dieci anni fa ha fondato il partito «Alleanza della Patria orgogliosa e sovrana» in polemica con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. E che lavora per una maggiore collaborazione tra i Paesi latinoamericani. Correa, critico da sinistra dell’ideologia gender, proprio in questi giorni ha proposto la creazione di una Corte internazionale di Giustizia ambientale sulla base di un trattato vincolante tra nazioni disposte a impegnarsi per la salvaguardia dell’ambiente.

Il presidente che tra alcune ore riceverà Francesco all’aeroporto di Quito ha in cantiere due progetti di legge (uno sul plusvalore e uno sulle eredità) paragonabili a una sorta di «patrimoniale» che dovrebbe colpire i grandi proprietari. In Ecuador ancora oggi il 2% delle famiglie ha il controllo di più del 90% delle aziende. Ma le due leggi spaventano anche la classe media che teme di perdere le case di proprietà acquistate con fatica per i figli. L’opposizione interna si fa sentire con manifestazioni pubbliche, anche se gli oppositori non intendo disturbare la visita del Papa latinoamericano.

In Bolivia, il Papa incontrerà il presidente indios Evo Morales, già leader sindacale dei «cocaleros» boliviani, campesinos quechua e aymara coltivatori di coca che si oppongono alla campagna per lo sradicamento delle coltivazioni, nonché fondatore e leader del «Movimiento al Socialismo». La nuova Costituzione del 2009 ha rafforzato la presenza dello Stato nell’economia e prevede la redistribuzione delle risorse in favore delle regioni più povere del Paese. Nel 2010 è stata anche promulgata la «Ley indígena» che concede ampie autonomie a 36 comunità locali dei nativi sudamericani. Anche se il numero dei più poveri si sta lentamente riducendo, le disuguaglianze sono ancora profonde, e tanti sono gli esclusi. Due appuntamenti particolarmente significativi saranno qui quello inserito nell’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (il Papa ne ricevette una delegazione in Vaticano nell’ottobre 2014 pronunciando un forte discorso) e quello al Penitenziario di Santa Cruz-Palmasola, dove Francesco visiterà un padiglione che accoglie 2800 detenuti con i quali possono convivere i familiari (circa 1500) in un villaggio protetto e gestito dagli stessi reclusi sotto la guida del personale di sicurezza dello Stato.

Infine il Paraguay: qui nel 2008, dopo 61 anni trascorsi tra dittatura e potere ininterrotto del partito Colorado, era stato eletto come presidente di sinistra l’ex vescovo cattolico Fernando Lugo, destituito nel 2012. Il suo successore regolarmente eletto è l’attuale presidente Horacio Manuel Cartes Jara, del partito Colorado, imprenditore e proprietario della holding «Grupo Cartes» formata da una dozzina di imprese. In Paraguay è presente l’«Esercito del popolo paraguayano» (EPP), costituitosi nel 2008, responsabile di attentati in particolare nelle regioni nord-orientali del Paese. Delle tre nazioni visitate, quest’ultima è quella della quale Francesco conosce meglio la cultura e la fede.

Nel viaggio di ritorno dalla Gmg di Rio de Janeiro, nel luglio 2013, rispondendo a una domanda sul ruolo della donna nella Chiesa, Francesco aveva detto: «Non si può capire una Chiesa senza donne, ma donne attive nella Chiesa, no?, con il loro profilo, che portano avanti». Il Papa aveva continuato con un esempio «che non ha niente a che vedere con la Chiesa, ma è un esempio storico: in America Latina, il Paraguay. Per me, la donna del Paraguay è la donna più gloriosa dell’America Latina». Bergoglio, riferendosi alla situazione post-bellica del 1870, alla fine di un aspro conflitto con il Brasile, l’Argentina e l’Uruguay durato sei anni, aveva detto: «Sono rimaste, dopo la guerra, otto donne per ogni uomo, e queste donne hanno fatto una scelta un po’ difficile: la scelta di avere figli per salvare la Patria, la cultura, la fede e la lingua. Nella Chiesa, si deve pensare alla donna in questa prospettiva: di scelte rischiose, ma come donne». Per questo il ruolo della donna e della famiglia saranno centrali durante il viaggio e in particolare in Paraguay.

Ma non va dimenticato che la trasferta latinoamericana ha innanzitutto un significato religioso: il vescovo di Roma viene a confermare i fratelli nella fede in Paesi dove il cattolicesimo ha contribuito non poco alla formazione dell’identità dei popoli e dove sono molto vivi il culto mariano e la devozione popolare. L’annuncio dell’essenziale del Vangelo – la gioia del Vangelo è il filo rosso che unisce l’intera visita -, una Chiesa solidale con le sofferenze dei popoli, l’invito a costruire insieme il futuro favorendo partecipazione e solidarietà, l’impegno a combattere disuguaglianze e inequità. Insomma, un viaggio in tre Paesi ma che avrà una valenza ben più ampia, come messaggio a tutta l’America Latina e al mondo intero.

«Il continente latino-americano è un continente in movimento – ha detto il Segretario di Stato Pietro Parolin nell’intervista con il Centro Televisivo Vaticano – dove sono presenti trasformazioni, cambiamenti a livello culturale, a livello economico, a livello politico», che, durante questi decenni, in una «fase positiva», hanno permesso a molte persone di emergere dalla povertà estrema e «di incorporarsi progressivamente anche nel ceto medio». Ci sono poi i problemi, come gli «accentuati fenomeni di urbanizzazione» o altri legati, da un lato, alla globalizzazione, dall’altro alla «progressiva secolarizzazione della società latino-americana». La risposta della Chiesa, in linea con l’«Evangelii gaudium» di Francesco, è la «via della conversione pastorale» e «dell’impegno missionario», in una forma che «può diventare anche paradigmatica per molte altre parti del mondo».

Di Andrea Tornielli per Vatican Insider (La Stampa)

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