I miracoli eucaristici in cui, a causa di un sacrilegio o di un forte dubbio riguardo al Mistero, le sacre particole sanguinano o il vino della celebrazione si trasforma in sangue rappresentano, forse, la maggioranza. Tra i più antichi e famosi si ha quello di Lanciano (Chieti) che si verificò nell’anno 750 nella Chiesa di Legonziano.
Il nome sembra derivare da san Longino, il centurione che dopo aver trafitto Gesù con la lancia si convertì. La famiglia di Longino, secondo un’antica leggenda, era originaria di Lanzanum (Lanciano appunto) e si trasferì in Palestina.
Nella Chiesa di San Legonziano dunque, un monaco mentre celebrava l’Eucaristia fu assalito dai dubbi circa la Presenza reale del Signore nelle Sacre Specie e così si accorse, dopo la consacrazione, che l’ostia era divenuta carne e il vino sangue. E’ risaputo che la Sacra Ostia, così trasformata e tuttora conservata in una teca, è parte del muscolo del cuore umano e il sangue appartiene al gruppo AB, il medesimo della Sindone.
E’ bello pensare come questi due miracoli ci riportano in modo straordinario sotto la croce. Il primo grazie alla memoria di Longino che compì quel gesto caro al Vangelo di Giovanni dal quale una innumerevole schiera di santi trasse ispirazione e forza per la propria fede: dal costato squarciato scaturì sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa. Nel secondo il sangue sgorgò a fiotti nel corso dell’elevazione richiamando alla memoria quel passo di citato dallo stesso Giovanni: volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto. Da questo sangue la Chiesa di ogni tempo rinasce a vita nuova, trae ispirazione e forza per il suo agire e percorre i secoli e i tempi in mezzo alle persecuzioni del mondo e alle consolazioni di Dio.
La parola sacrificio oggi non gode di buona fama e la fede cristiana è stata spesso tacciata di stoicismo, quando non di masochismo, a motivo del suo sguardo rivolto al crocifisso. Eppure nel sacrificio di Cristo trovano senso i dolori del mondo e senza la vittoria di Cristo sulla morte e su quella morte infame niente a avrebbe né senso né speranza. Ripensare all’Eucaristia come al frutto di questo sacrificio significa dunque riaffondare le radici nella speranza cristiana che trova la sua certezza proprio in questo cibo di vita che ha gettato un ponte sulla sofferenza e sulla morte.
Redazione Papaboys (Fonte CulturaCattolica.it/Riva, Sr. Maria Gloria e Mangiarotti, Don Gabriele)
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