Categorie: Italiae et Ecclesia

I giovani salesiani di tutto il mondo si incontrano a Torino

E’ iniziato in queste ore a Torino il raduno internazionale del Movimento Giovanile Salesiano. Cinque giorni di incontri, preghiera e formazione, che culmineranno nella celebrazione, sabato 16 agosto, dei 200 anni dalla nascita del fondatore della Famiglia Salesiana, San Giovanni Bosco. Migliaia i partecipanti dai cinque continenti, con un’attenzione particolare a temi sociali e contesti di povertà e conflitto. Le parole di don Francesco Ceresa, vicario del rettorato salesiano, al microfono di Giacomo Zandonini:

R. – Siamo ormai giunti alla conclusione del bicentenario della nascita di Don Bosco: si conclude il 16 agosto, giorno della nascita. Come elemento conclusivo abbiamo previsto un incontro di giovani di tutto il mondo. Poiché il nostro lavoro, come Salesiani, si svolge soprattutto con giovani poveri, abbandonati, e non sempre è possibile prevedere un incontro di tantissimi giovani, abbiamo fatto la scelta di convocare i giovani animatori: ragazzi e ragazze del Movimento giovanile salesiano – dai 4500 ai 5000 – provenienti da tutti i Paesi del mondo, più di 130, in cui siamo presenti. E’ una bella opportunità di confronto tra i giovani, che prevede tre giornate: la prima sarà tutta in inglese, la seconda in italiano e la terza in spagnolo. Ogni gruppo ha anche i suoi traduttori, quindi ci saranno traduttori in ucraino, in slovacco, in vietnamita e in thailandese…

D.  – Lo slogan della settimana è “Come Don Bosco, con i giovani, per i giovani”. Che significato hanno queste parole, partendo dal “come”?

R. – Questo motto è quello che ci ha accompagnato durante tutto quest’anno di celebrazione del bicentenario. Tra l’altro, la lettera che il Santo Padre, Papa Francesco, ha mandato al rettore maggiore per tutta la Famiglia Salesiana e i giovani, riprendeva lo stesso tema, e anche il tema proposto ai giovani stessi: discepoli “come” Don Bosco. Gli altri due temi sono più sull’aspetto della presenza, dell’aiuto, e per noi è fondamentale il  “con”. E’ molto più importante la compagnia con gli altri giovani che il servizio che si fa ai giovani. Allora “Come Don Bosco, discepoli di Gesù”, e “Come Don Bosco, per i giovani, con i giovani”.  

D. – La vocazione del giovanissimo San Giovanni Bosco nacque, come lui stesso raccontava, da un sogno. Quali sono oggi i sogni della famiglia salesiana per il nostro mondo e in particolare per i giovani?

R. – Alcuni di questi sogni li ha evidenziati anche Papa Francesco nella lettera indirizzataci per il bicentenario. Il primo: non deludere le aspettative, le attese dei giovani; capire le loro preoccupazioni, limiti, fragilità, ferite che ogni giovane porta nella sua vita, anche per il contesto familiare o per il contesto sociale. Il primo sogno per noi è di essere accanto ai giovani, per aiutarli a rispondere alle loro aspirazioni più profonde. Questo è il primo sogno. Il secondo sogno è quello del ricollocarci nei luoghi di maggior bisogno, i luoghi dove nessuno vuole andare, i luoghi più poveri, i luoghi dove ci sono più necessità. E questo è un sogno difficile da realizzare. Lo vediamo per esempio in Europa, nei confronti delle risposte che occorre dare alla multiculturalità, alla migrazione. E se c’è un terzo sogno è lavorare di più con le famiglie. Non c’è pastorale ai giovani, senza pastorale familiare.

D. – Vuole raccontarci un’esperienza particolare, fra le migliaia di esperienze dei salesiani nel mondo, su cui state investendo?

R. – Una di queste è il Medio Oriente. Stamattina ricevevo immagini di quello che hanno fatto durante la “Estate ragazzi”, sia a Damasco che ad Aleppo, per dare fiducia ai giovani. Anche in queste situazioni di estrema precarietà, infatti, non c’è solo la via della fuga, ma anche quella del restare, avere pazienza, costruire possibilità per il proprio futuro; il ritrovarsi di ragazzi e ragazze, di animatori, per loro è una realtà interessante. Un’altra situazione, non sempre facile, riguarda per esempio i contesti dove cristiani e musulmani vivono insieme. Laddove i cristiani sono minoranza tante volte i giovani vogliono avere spazi solo per loro. Qualche volta negli oratori ci dicono: “Vogliamo essere soli”, perché viviamo sempre insieme a loro. Costruire queste esperienze di accettazione reciproca risulta essere certamente impegnativo.

Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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