Due sorelle tra le tende dei beduini

GERUSALEMME – Abbiamo visitato, con le suore comboniane, una scuola materna di uno degli accampamenti beduini che vivono nel deserto di Giuda, una drammatica realtà dimenticata, ai margini della società.

Ci siamo dati appuntamento nel parcheggio dell’insediamento di Maale Adumim, nella strada che da Gerusalemme porta a Gerico. Suor Azezet e Suor Agnese, sono arrivate alla guida della loro jeep, l’unico mezzo che può muoversi con agilità nel deserto. Un piccolo gruppo formato dal sottoscritto Andrea e Lorenzo, fratelli delle Famiglie della Visitazione, Henrique Abreu, responsabile dei progetti del Patriarcato latino e una nipote di suor Azezet.

Lasciando Maale Adumim e passando accanto all’insediamento di Kedar ci siamo inoltrati nel deserto di Giuda, verso il celebre monte Mountar, non lontano dal monastero di San Saba. Un paesaggio collinare incantato, fatto di sassi, spine e spicchi di campi di grano. La nostra meta era un agglomerato di tende, baracche e recinti di pecore, dove abita un clan di beduini. Qui le suore hanno fatto nascere un asilo

.

Queste famiglie sono originarie delle sette comunità beduine che abitavano sulle alture a Est di Gerusalemme, desertiche ma ricche di ben sette fonti d’acqua. Su queste colline, a metà degli anni settanta, iniziò la costruzione di Maale Adumim, insediamento illegale oltre la linea verde, oggi cittadina di oltre 50.000 abitanti. Le sette comunità furono scacciate. Iniziarono un lungo calvario di spostamenti, accampandosi nelle valli vicine. Qui si trovano ancora oggi sparse in varie decine di accampamenti, in condizioni abitative, lavorative e sociali molto precarie.

Non molto tempo fa, dopo anni di battaglie legali, la corte suprema ha dato loro ragione: la loro rimozione dalle sette fonti fu una grave usurpazione. Nonostante questa sentenza favorevole restano ai margini sia degli insediamenti, che continuano a tentare di scacciarli sempre più lontani, sia della società palestinese che li considera marginali e poco integrabili.

Cinque anni fa le suore comboniane decisero di esplorare queste realtà. Avevano già deciso di tornare ad abitare nel villaggio di Azareyah, in un appartamento vicino alla tomba di Lazzaro. Il muro di separazione, terminato qualche anno fa, ha isolato il loro convento di Betania da quel quartiere, lasciandole nella parte di Gerusalemme. Collaborando

con i Rabbini per i diritti umani e l’ONG Vento di Terra, hanno cominciato a visitare le comunità beduine, andando a scovare quelle più sperdute.

Un lavoro paziente, che ha richiesto innumerevoli visite, contatti, amicizie per conoscere queste persone e i loro bisogni. Le nostre suore sono diventate ben presto parte della famiglia beduina. Hanno puntato soprattutto su due aspetti: la sanità e la scuola. Una clinica mobile, collegata alla sanità palestinese, gira per i villaggi per visitare i malati, vaccinare i bambini, assistere le donne incinta. Alcune donne beduine sono diventate assistenti infermiere e tre di loro sono state assunte dal Ministero della Sanità palestinese e lavorano in modo regolare in una clinica di Azareyah.

Per la scuola le suore hanno puntato fin da subito sulle donne residenti nei villaggi. Hanno curato la formazione di alcune di loro perché diventassero le maestre, tre per asilo, dei loro bambini. Oggi ci sono sette asili funzionanti: nei villaggi di Al Muntar, Tabana, Anata, Abu Hindi, Al Jabal, Abu Nawar I e Abu Nawar II. Ben 45 le donne beduine preparate e ingaggiate per fare le maestre. 12 nuove ragazze hanno ultimato il corso di formazione lo scorso 31 maggio 2015. Ogni scuola accoglie circa 25 bambini.

L’asilo è stata la porta per aprire alle donne e ai bambini di quelle tende un mondo nuovo, sconosciuto: giochi, formazione, scuola, corsi di aggiornamento, cura personale, pulizia, contatti con persone nuove qualificate… Il motore di questa spirale positiva sono state appunto le suore! Le maestre che abbiamo incontrato ci hanno confessato: “Queste amiche sorelle cristiane ci hanno salvato; tirandoci su e coinvolgendoci ci hanno cambiato la vita, le siamo molto riconoscenti!”.

Il nostro giro si è concluso con un pranzo nella tenda del capo anziano del villaggio, chiamato simpaticamente Abramo da suor Azezet e suor Agnese, vista la sua barba bianca e il suo carattere accogliente.

Da questa “periferia delle periferie” della Terra Santa, questa gente, vittima d’ingiustizie nascoste e continuate, ha ricevuto del gran bene dalla testimonianza delle vulcaniche suore comboniane. Queste non si fermano. Hanno tanti progetti in testa per restare vicino, in modo ancora più fruttuoso, a queste donne; progetti che hanno bisogno di nuove persone, nuovi contributi, nuovi sostenitori anche dalla chiesa.

Di Andres Bergamini (Patriarcato Latino di Gerusalemme)

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