Mauro Leonardi

Dacca, l’italiano è naturalmente inclusivo

Una strage di italiani a Dacca. Sono nove – sembra – i connazionali morti nell’attacco del commando di jihadisti che venerdì al grido di “Allah Akbar”, “Allah è grande”, si era barricato all’Holey Artisan Bakery con almeno 33 ostaggi. Una delle vittime era una giovane donna che voleva tornare a casa, in Italia, per far nascere il bambino che aspettava. C’è un modo di dire che voglio usare anche se cambierò le parole: quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare, anche se non siamo alla play station e il sangue è vero: non abbiamo vite di riserva e i morti rimarranno a terra. Se non riusciamo a perdonare ora, se non riusciamo ad avere misericordia ora, cancelliamo queste parole dal nostro vocabolario. È inutile che ce ne riempiamo tanto la bocca. Ora, a Dacca, si vede se facciamo sul serio. Qui è in gioco la forza che nasce dal cuore. Dal cuore disarmato. Non sto parlando di pie preghiere e di cuoricini. Il cuore è la parte viva e sanguinante di ogni nostro dolore e di ogni nostra gioia. Solo il cuore dice se siamo vivi. È il primo parametro vitale che tace quando tutto finisce. Non è roba pia. È roba vera. Come il perdono. Il perdono è facile da dire ma viverlo è un’altra cosa. Per viverlo ci vuole una vita, ci vuole la vita. Di fronte al delirio di violenza di Dacca, parlare di perdono richiede forza. La forza di chi trattiene l’ira, la rabbia, la vendetta. È una forza maledettamente grande. Per farlo ci vuole anche l’intelligenza. E allora lo dico. Perché non sono pochi a capire ormai perché l’Italia – negli anni -non ha subito gli stessi attacchi della Francia, degli USA, dell’Inghilterra, del Belgio, della Spagna. Perché l’italiano è naturalmente conciliante, inclusivo. Per questo Roma non è Parigi. Non ho paura di dirlo. Per perdonare usiamo la forza dell’intelligenza che ci permette di apprezzare che anche l’Isis lo capisce. Che l’italiano non è l’inglese, o l’americano, o il francese, o il belga. Faccio del nazionalismo? Sono fatti. Punto i piedi a terra per non farmi trascinare nel baratro dell’ira e per avere misericordia. Trovo ragioni dove non ci sono. Dove non ci sono io le trovo e dico che a perdonare ci si guadagna.

La virtù dei forti non è la forza ma il perdono. E poi di quale forza vogliamo parlare di fronte a questo orrore? Quale forza violenta può ridarci le vite dei nostri connazionali e delle altre vittime?

Non abbiamo bisogno di sfogare rabbia ma di sfogarci. La virtù dei forti non è la forza ma la capacità di rimanere uniti. I nostri antenati romani formavano una testuggine di scudi per difendersi dall’impatto di lance e di uomini. La prima difesa era nell’unione. Campo di battaglia è la nostra vita quotidiana, i nostri teatri, i nostri luoghi di lavoro, gli aeroporti in cui ci muoviamo per viaggiare e lavorare, i ristoranti in cui mangiamo e stiamo con gli amici, le strade che ci riportano a casa. Una sola parte è armata e pronta ad uccidere. L’altra continua a difendersi con la sua vita ordinaria, quotidiana. Un po’ più blindata e sorvegliata ma ancora vita ordinaria. Uniti dalla normalità delle nostre vite che continuano. Non c’è altro da fare non perché sia l’ultima cosa che ci rimane ma perché è l’unica arma vincente. Rimanere uniti, iniziare a disarmare la rabbia, l’odio, con il perdono. E solo insieme possiamo farlo.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da FaroDiRoma 


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