Finis Mundi

Cosa sappiamo del linguaggio di Dio? Una riflessione di Fra’ Emiliano

Il silenzio è la lingua di Dio ed è il linguaggio dell’amore.

Dio crea il mondo in silenzio, s’incarna nel grembo silenzioso di una Donna e redime l’uomo nel silenzio di una croce. Le opere più grandi di Dio si compiono, sotto l’ombra dello Spirito Santo ed in silenzio. La domanda fondamentale dell’uomo di tutti i tempi è questa: «Dov’è Dio?». Dio non è nel frastuono, nel caos, nel rumore, ma, come per il profeta Elia, «nella brezza leggera del vento divino» (cfr. 1 Re, 19, 12).

Il silenzio è il grembo della Parola di Dio ed è la “parola” originante e originale di tutte le parole. Dal silenzio nasce la parola, la scrittura, l’arte, la musica, la poesia, la santità e tutta la bellezza che Dio ha messo sulla terra. Il silenzio è il “vaccino” contro la dittatura del rumore che c’è nella società e il “chiacchiericcio” che alle volte è lo “sport” più praticato anche nella Chiesa. È fondamentale fare silenzio, per ascoltare la voce di Dio dentro di noi, e anche noi stessi e gli altri. Fare silenzio per “ruminare” la Parola di Dio e donare agli altri parole autentiche, luminose e piene di speranza.

Il silenzio

Il grande Papa Paolo VI scrive: «La prima maniera di pregare è quella di tacere. Non avremo mai fatto abbastanza posto degno al silenzio, al raccoglimento. Il silenzio ci si presenta sotto una forma negativa, e ciò con esclusione di rumori, di parole profane, di false spiritualità. È un’ascetica dello spirito che mutila, che pota l’albero della vita spirituale dalle parole inutili e tanto severamente che a volte sembra privarlo della sua spontaneità, della sua vitalità, di ogni curiosità, erudizione, conversazione, del suo bisogno di esprimersi, del suo bisogno di comprendere, di incontrare gli altri, di comunicare con gli altri e di nutrirsi dell’altrui comunicazione. […] Bisogna essere poveri di spirito (Matteo, 5, 3) cioè silenziosi, e concentrare tutta l’attività spirituale nella parola interiore. Bisogna che impariamo a tacere, a raccoglierci, a stare soli, ad adorare in silenzio e a comporre interiormente qualche parola degna di Dio, ad estasiarci all’eco delle parole del Signore, ascoltarle, ripeterle, scandirle, lasciarle depositare nel fondo dell’anima poi decantarle da ogni profanità finché diventino limpide e consolatrici» (Meditazioni

, Dehoniane. Bologna, 1994, pagina 67).

Il silenzio è il linguaggio di Dio, il gemito dei santi, la penna colorata degli artisti, la nota fondamentale dei musicisti, la brezza leggera del vento, il canto della natura, il sussurro degli angeli, il palpito del cuore, l’ultimo grido dei defunti. Guardo Maria, la Vergine del silenzio e penso spesso alle parole di un mistico: «Il destino della Vergine è quello di stare in silenzio. È la sua condizione, la sua via, la sua vita. La sua è una vita di silenzio che adora la Parola eterna.

Vedendo davanti ai suoi occhi, al suo seno, fra le sue braccia, questa stessa Parola, la Parola sostanziale del Padre, muta e ridotta al silenzio per la condizione particolare della sua infanzia, la Vergine si rinchiude in un nuovo silenzio, dove viene trasformata sull’esempio del Verbo incarnato che è suo Figlio, il suo unico amore. E la sua vita passa così da un silenzio ad un altro, da un silenzio d’adorazione ad un silenzio di trasformazione. Maria tace, avvinta dal silenzio del Figlio suo, Gesù.

Uno degli effetti sacri e divini del silenzio di Gesù, è quello di mettere la sua santissima Madre in una vita di silenzio: silenzio umile, profondo, che sa adorare la sapienza incarnata in modo più santo e più eloquente di quanto non riescano sia le parole degli uomini che quelle degli angeli. Il silenzio della Vergine non è l’effetto di balbuzie e di impotenza; è un silenzio di luce e di estasi, un silenzio più eloquente, nelle lodi a Gesù, dell’eloquenza stessa… (Pierre de Bérulle, Opuscules de pieté, 39). Maria, Vergine del silenzio, maestra e madre spirituale, ci insegni ad accogliere il dono del silenzio per ascoltare Dio e tacere per non cadere nella tentazione dello sparlare degli altri, dell’invidia e della calunnia.

di Fra’ Emiliano Antenucci (Osservatore Romano, 4/5 agosto 2020)

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