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Volontari a 80 anni: Marisa e il tempo speso con i profughi della stazione centrale

Marisa Cingoli lavorava nel mondo della moda. Oggi indossa la pettorina arancione dei volontari del Comune di Milano e tre volte alla settimana distribuisce tè, acqua o vestiti. “Alla sera ti porti a casa le loro storie, quello che hanno patito. Ma c’è anche la soddisfazione di aver dato loro anche solo un sorriso”

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Ha una voce squillante e le piace ridere: compie oggi 80 anni ed è una delle volontarie storiche che accolgono i profughi alla stazione centrale. Marisa Cingoli è stata una delle prime di quel gruppetto informale che nel giugno 2014 ha cominciato a offrire acqua, biscotti o panini alle famiglie siriane che arrivavano in treno a Milano. “Ho lavorato nel mondo della moda fino a 76 anni – racconta -. Ero da poco andata in pensione ho visto su Facebook che c’era un appello lanciato da un gruppo di cittadini per la raccolta di indumenti e viveri. Ho deciso di dare una mano e da allora non ho mai smesso”. Ora quel gruppo informale indossa la pettorina arancione dei volontari del Comune di Milano. Marisa tre volte alla settimana distribuisce tè, acqua o vestiti. “All’inizio erano famiglie siriane, gente colta che non riusciva ad accettare la condizione in cui si trovava -aggiunge-. Ora sono giovanissimi eritrei, somali o egiziani. Sono vivacissimi, a volte mi fanno disperare”.

In poco più di due anni, a Milano sono stati accolti circa 90mila profughi (molti dei quali solo di passaggio). “Ho visto passare di fronte ai miei occhi un’enorme sofferenza -racconta Marisa-. Alla sera ti porti a casa le loro storie, quello che hanno patito. Ma c’è anche la soddisfazione di aver dato loro anche solo un sorriso. A volte il nostro è il primo volto amico che vedono dopo mesi di viaggio. Non è tanto il panino o la bevanda che importa, ma il fatto che capiscono che di noi possono fidarsi. Che non faremo loro del male”.

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Marisa è rimasta in contatto con molte delle persone passate da Milano e che hanno proseguito il viaggio verso la Germania o la Svezia. “C’è chi mi ha mandato la foto del loro figlio appena nato o del loro matrimonio celebrato in qualche Paese del nord Europa dove si sono stabiliti”. E poi ci sono i ricordi dei tanti episodi che sono successi alla Stazione Centrale. “Mi rimangono nel cuore le cose più banali. Per esempio, quel bambino eritreo che non mangiava perché era rimasto solo. Un giorno ho preparato un pentolone di sugo con il quale abbiamo condito la pasta. Dopo un po’ ho sentito che qualcuno mi tirava la maglietta: era lui, che aveva già finito il suo piatto e voleva il bis. Non potrò mai scordare quei suoi occhioni contenti”.




“Fare i volontari è molto faticoso -sottolinea-. Stiamo in piedi tante ore. Però è un lavoro necessario. Ti rendi conto che non puoi tirarti indietro. Ci sono spesso polemiche perché i profughi sono tanti. Ed è vero. Quel che mi sento di dire, però, è che ogni giorno arrivano persone con segni di percosse, donne violentate. Fuggono da situazioni in cui rischiano altrimenti di morire. Non è quindi colpa loro. Certo non tutto può gravitare su Milano e l’Italia, ci vorrebbe un’organizzazione diversa a livello nazionale o mondiale. Ma non si può lasciarli al loro destino. Sono angosciata per il loro futuro”. (dp)




Redazione Papaboys (Fonte www.redattoresociale.it)

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