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Tsunami, 10 anni dopo: il Sud Est asiatico ricorda e riparte

REUTERS616435_Articolo (1)Sono passati 10 anni dallo tsunami che il 26 dicembre del 2004 colpì il Sud Est asiatico, provocando la morte di 230 mila persone e distruggendo le coste di 14 Paesi affacciati sull’Oceano Indiano. Le commemorazioni hanno preso il via con un grande raduno nella provincia di Aceh, in Indonesia, dove sopravvissuti, soccorritori e gente comune si sono ritrovati per pregare ma anche per visitare le tombe delle vittime.

L’epicentro fu nei pressi dell’isola indonesiana di Sumatra, poi il maremoto si spostò, colpendo e seminando morte in Thailandia, India, Sri Lanka, Maldive, fino ad arrivare alle coste dell’Africa orientale. 230mila vittime, oltre un milione e mezzo i senza tetto. Davanti a tanta devastazione, la macchina dei soccorsi si mise subito in moto. Ma cosa è cambiato nella geopolitica del sud est asiatico a 10 anni dallo tsunami? Padre Bernando Cervellera, direttore di Asianews:

R. – E’ cambiato molto. Da una parte, il Vietnam si è aperto sempre di più verso la comunità internazionale, ma soprattutto il Myanmar – che era uno dei Paesi colpiti e dove si rifiutavano gli aiuti esterni, durante il periodo dello tsunami – è diventato invece un Paese che sta cercando di entrare nel concerto della comunità internazionale. L’altro elemento che è cambiato molto è stata l’islamizzazione di Aceh, che è andata molto più a fondo: è una regione dell’Indonesia dove è stata attuata la sharia. La Thailandia, che è stata un’altra delle grandi vittime dello tsunami, è rimasta un Paese sempre molto aperto, anche se ha tantissimi problemi interni, problemi di democrazia e, forse, in prospettiva, un problema di futuro della monarchia thailandese.

D. – Dopo la tragedia, si attivò una macchina di soccorsi internazionali senza precedenti: qual è stato il contributo della Chiesa per l’emergenza e per la ricostruzione?

R. – La Chiesa ha lavorato – trovo – su due aspetti: da una parte, l’emergenza proprio per portare aiuti in modo immediato e diretto alle persone – aiuti di emergenza vuol dire medicinali, vuol dire tende, vuol dire cibo e così via – ma poi c’è stato da subito anche un lavoro più profondo, dal punto di vista psicologico, dal punto di vista di sostegno spirituale alla gente, che in un attimo ha perso tutto, cioè ha perso non soltanto le sue proprietà, ma molto spesso ha perso tutti i membri della famiglia. Ci sono persone orfane, persone che sono rimaste sole. Quindi questo è stato un altro grande impegno della Chiesa, che dura ancora adesso con una evangelizzazione e anche un tentativo di umanizzare lo sviluppo economico, venuto fuori da questa tragedia.

D. – La zona resta una delle più ambite del turismo internazionale. Quanto ha contribuito questo fattore per l’economia dei Paesi colpiti?

R. – Certo, questa zona e soprattutto la zona del Sud Est asiatico. Non dobbiamo dimenticare alcune parti dell’India e dello Sri Lanka che sono state colpite e che sono importantissime dal punto di vista del turismo e anche dal punto di vista del basso costo della manodopera. Quindi, naturalmente, questo accresce moltissimo le potenzialità economiche. Queste potenzialità economiche, però, talvolta, si scontrano con progetti faraonici dal punto di vista turistico, che non portano al benessere di tutta la popolazione. Pensiamo, per esempio, allo Sri Lanka, dove ci sono progetti turistici enormi, resort bellissimi, che però eliminano tutti i pescatori della zona, che rimangono disoccupati, perché impossibilitati a svolgere il loro lavoro.

Il servizio è di Elvira Ragosta per la Radio Vaticana

 

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