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Tre Miracoli per intercessione di San Leopoldo (Parte 2)

Continua il nostro speciale nell’apprfondire la vita San Leopoldo Mandic. Ecco, tra le centinaia di miracoli attribuiti alla sua intercessione, altri due miracoli riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa per la glorificazione di padre Leopoldo. Si tratta delle guarigioni prodigiose di Paolo Castelli ed Elisa Ponzolotto.

San Leopoldo Mandic

La guarigione di Paolo Castelli

Di Pagnano di Merate (Lecco), nato il 2 marzo 1902, la mattina della domenica 4 marzo 1962, stava tornando da messa, quando fu assalito da forti dolori al ventre. Il medico accorso giudicò subito grave il caso e mandò il Castelli immediatamente all’ospedale di Merate dove, sospettando si trattasse di una caso di perforazione gastrica, fu deciso di operarlo d’urgenza. I medici, dr. Bonanomi e dr. Della Rocca, si accorsero che non si trattava di quanto avevano supposto, ma purtroppo di «trombosi nel territorio della mesenterica superiore con esteso infarto dell’intestino tenue»: gran parte dei visceri erano interessati da necrosi. Sospesero l’intervento. Impotenti di fronte a un male tanto devastante, richiusero il ventre del paziente e spiegarono ai parenti che la sorte dell’ammalato era inesorabilmente segnata. La sera stessa, il parroco gli amministrò il sacramento degli infermi.

Maria Brivio, da tempo devota di padre Leopoldo, prima che iniziasse l’intervento chirurgico aveva appuntato una medaglietta raffigurante padre Leopoldo sulla maglia del marito. Poi si era ritirata in cappella a pregare, continuando a farlo tutti quei giorni, sicura di venire esaudita.

La quarta notte del ricovero ospedaliero, dopo aver invitato il marito a tentar di dormire (non ci era mai riuscito dopo l’operazione), essa recitò per lui dodici Padre nostro. Non li aveva ancora terminati quando suo marito, in preda a una violenta crisi, cominciò a gridare: «Sto male, sto male, muoio!».

Nel cuore della notte, accese la luce e lo vide tutto sudato e pallido a morte. Lo aiutò a mettersi con le gambe penzoloni dal letto, mentre gli asciugava il sudore. Il paziente continuava ad agitarsi: «Muoio, muoio: tu non sai quanto male ho». Con gli occhi rovesciati all’indietro, mentre emetteva un rantolo, si rovesciò sul letto. La moglie esclamò: «Signore, sia fatta la tua volontà!». Nel medesimo istante Paolo Castelli cominciò a gridare: «Sono guarito, sono guarito: non ho più niente!». Passò il resto della notte tranquillo, conversando con la moglie. Il mattino seguente i medici ne constatarono la guarigione, e il 9 marzo cessarono tutte le cure. Fu tenuto in osservazione ancora alcuni giorni e poi rimandato a casa, dove riprese la dura vita di lavoro dei campi.

Oggi l’ospedale di Merate (Lecco) – «Ospedale san Leopoldo Mandić» – è dedicato proprio al frate cappuccino, per la cui intercessione Paolo Castelli ottenne la guarigione miracolosa.

(da: G. Lazzara, Leopoldo Mandić. Il confessore che sognava l’unità dei cristiani, Edizioni San Leopoldo, Padova 2013. ISBN 9788896579084)

San Leopoldo Mandic




 Il miracolo a Elsa Ponzoletto

Trentina di Ronchi di Ala, dove nacque a il 20 agosto 1925, Elisabetta Ponzolotto aveva 52 anni quando venne ricoverata all’ospedale di Ala. Era il 15 marzo 1977 e, al suo ingresso, si parlò di influenza cardiopatica.

La mattina del 24 marzo, avvertì un dolore acutissimo al piede sinistro. Non poté più muoversi e dovettero portarla a letto. I dolori continuarono ad aumentare e, in breve, la gamba – che già le creava problemi al camminare – divenne gonfia e bluastra sino al ginocchio. La sofferenza era così atroce che la paziente, con i lamenti, recava disturbo agli altri degenti. Dovettero sistemarla in una stanzetta da sola, con una infermiera sempre accanto. I medici le diagnosticarono una «ischemia postembolica dell’arto inferiore sinistro in soggetto cardiopatico con valvulopatia mitralica fibrillante».

Il quadro clinico non cambiò nonostante cure energiche; andò anzi peggiorando nei tre giorni seguenti, sino alla comparsa di un processo di cancrena alle dita del piede. La situazione era grave e la paziente in pericolo di vita. Il 27 marzo, verso mezzogiorno, i medici curanti decisero l’immediata amputazione della gamba, molto sopra il ginocchio. La signora Ponzolotto, però, si oppose e disse che non avrebbe accettato l’intervento sino al mattino seguente.

Racconterà, più avanti: «Quando i medici mi dissero che per salvarmi dovevo sottopormi all’amputazione della gamba, risposi che per il momento non accettavo l’intervento perché aspettavo la risposta di un mio “confidente”, e intendevo il beato padre Leopoldo. Intensificai la preghiera al beato tenendo sempre la sua immagine con la reliquia sulla gamba dolorante. Mi affidai completamente a padre Leopoldo con la massima fiducia, anzi con la certezza di essere esaudita. Ripetevo continuamente: “Padre Leopoldo, aiutami, aiutami”».

Il dr. Albino Kuel, di guardia in quella notte, raccontò: «Ricordo di essere stato chiamato più volte perché le condizioni della Ponzolotto continuavano a peggiorare. Verso le ore 23, visitai la paziente notando con preoccupazione l’aggravarsi della sintomatologia: il dolore si faceva sempre più acuto, tanto che la poveretta mordeva le coperte, la gamba sempre più fredda e cianotica… Verso le ore 1.30, venni chiamato di nuovo. Di fronte alla situazione sempre più grave, tentai di somministrare analgesici in infusione continua in fleboclisi, ma senza risultato. La paziente dava l’impressione di essere in uno stato preagonico, pur essendo pienamente lucida».

La stessa Ponzolotto raccontò cosa accadde: «Mentre l’infermiera era uscita ed ero sola nella camera, seduta sul letto e appoggiata ai cuscini, vidi entrare un frate cappuccino, piccolo, con la barba bianca. Lo riconobbi subito: era padre Leopoldo. Mi guardava e sorrideva. Fece il giro del letto, guardò la gamba e disse: “So che soffri molto e che dovrai sopportare tanto male, ma la gamba sarà salva”. Io risposi: “Tutto questo lo accetto volentieri pur di aver salva la gamba”. Sorrise e camminando lentamente uscì dalla porta. Scoppiai in lacrime. Il dolore alla gamba scomparve, sentii che si riscaldava e che potevo muoverla. Mi addormentai. Erano quattro giorni che non dormivo nemmeno un momento. Arrivata l’infermiera, rimase stupefatta al trovarmi tranquilla. Guardò la gamba e la trovò rosea come l’altra e riscaldata. Le raccontai che avevo visto padre Leopoldo ed essa, commossa, mi disse di ringraziare Dio e padre Leopoldo che mi aveva ottenuto la salvezza».

Continua la testimonianza del dr. Kuel: «La mattina, alle ore 6, mi svegliai, meravigliandomi perché non ero stato più chiamato per la Ponzolotto. Mi recai subito alla sua stanza per vedere cosa era successo, disposto a sentirmi dire che era deceduta. Invece, trovai la paziente con aspetto tranquillo. Visitai l’arto ammalato e, con mia meraviglia, constatai che aveva riacquistato il colorito e la temperatura normali, non procurando più alcun dolore alla paziente, segno evidente di rivascolarizzazione spontanea e completa».

Altri medici, compresi quelli che il giorno precedente avevano disposto l’amputazione, svolsero controlli e verifiche, ma non far altro che constatare la guarigione inspiegabile. Dimessa, la signora Ponzolotto ritornò a casa riprendendo i lavori domestici.




Redazione Papaboys (Fonte www.sanleopoldomandic.it)

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