Pubblicità
HomeNewsRes Publica et SocietasTangentopoli veneta: 'non è cambiato nulla da 22 anni'

Tangentopoli veneta: ‘non è cambiato nulla da 22 anni’

Ci risiamo. Attendiamo lo sviluppo delle indagini, diamo per scontata la presunzione d’innocenza che vale per tutte le persone coinvolte nella nuova tangentopoli veneta legata alla realizzazione del Mose. Ma la deflagrazione di mercoledì ha intontito per il boato mediatico e le dimensioni del cratere fumante che ora fa bella mostra di sé nel terreno della politica e dell’imprenditoria, e ha intaccato persino esponenti di rilievo delle forze dell’ordine. Ci risiamo. O ci siamo ancora, ci siamo tuttora nel malaffare che a più ondate, a partire dalla tangentopoli “madre” del 1992, sta continuando ad attanagliare il nostro paese, il nostro Veneto, le nostre città. Le accuse – si parla di corruzione, concussione, favoreggiamento, fatture inesistenti, finanziamento illecito ai partiti – farebbero intravvedere un sistema che, alimentandosi attraverso fondi neri ed evasione fiscale, finanzia partiti di diversi colori, campagne elettorali o singoli personaggi potenti (in questo frangente soprattutto loro – parrebbe – più ancora che i partiti di provenienza), alterando il mercato e la concorrenza. Risultato: la corruzione fa costare di più le opere pubbliche, innalza la pressione fiscale, anestetizza la concorrenza tra le imprese migliori. E rende la politica la parodia di se stessa, uno spettacolo in cui il potere ha la maschera dei peggiori luoghi comuni. Perché 22 anni dopo, solo con meccanismi più sofisticati ma nella sostanza uguali, nulla è cambiato? Dal procuratore aggiunto Carlo Nordio, che ha vissuto appieno anche l’esperienza della tangentopoli degli anni Novanta, viene l’indicazione di semplificare le norme, perché se sono troppe le porte da aprire prima di dare avvio a un’opera è più facile che si debba oliare quella che cigola o che gratta. Una classe politica che non vuole restare sommersa dall’ondata di sdegno che sta montando nel paese provi a dare ascolto a questa voce. C’è poi però, ne siamo convinti, anche un problema culturale. Troppo facilmente si accetta un sistema torbido, non si denuncia ciò di cui si viene a conoscenza, si accettano compromessi. Alcuni tra gli imprenditori nel migliore dei casi chinano la testa pur di poter lavorare; nel peggiore sanno bene chi manovrare e come convincerlo. Alcuni tra i politici considerano normale amministrare il potere con il sistema dei favori: dal posto di lavoro all’appalto, passando per la ricerca del consenso a buon mercato. Una nuova cultura della legalità, che convinca del fatto che l’onestà è conveniente, deve tornare a far parte nel nostro Dna. Si deve evitare di sparare nel mucchio, certo: ma a patto di saper colpire i responsabili, evitando l’impunità. Altrimenti anche questa ennesima vicenda, insieme a quella dell’Expo milanese, non avrà insegnato niente.

Trentacinque arresti e un centinaio di indagati nell’inchiesta della Procura di Venezia sulle presunte tangenti pagate per gli appalti del Mose, il sistema di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia. Tra gli arrestati dalle Fiamme Gialle, nomi eccellenti come l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni (a cui viene contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti), il consigliere regionale Pd Giampietro Marchese, il presidente del Coveco, cooperativa impegnata nel progetto Mose, Franco Morbiolo, il generale in pensione Emilio Spaziante, l’amministratore della Palladio Finanziaria spa, Roberto Meneguzzo. C’è anche una richiesta di arresto anche per il senatore di Forza Italia Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto. Le accuse sono di corruzione, concussione, riciclaggio. Complessivamanete, agli indagati sono stati sequestrati beni per 40 milioni di euro e scoperti fondi neri per 25 milioni. L’indagine della Finanza era partita tre anni fa, nel 2013 c’era stato l’arresto di Piergiorgio Baita, ai vertici della Mantovani, società padovana colosso nel campo delle costruzioni. Dopo qualche mese l’arresto di Giovanni Mazzacurati, l’ingegnere «padre» del Mose. Ora la nuova catena di arresti che segna lo sviluppo di una Tangentopoli veneta.

L’opera. Il 12 ottobre 2013 il Mose, con la prova d’innalzamento in superficie delle prime tre paratoie al Lido, aveva fatto idealmente il suo primo vagito. Non un proprio varo ma la prima prova della movimentazione “a sistema” delle paratoie già collocate; tuttavia, sul piano ideale aveva significato l’ingresso nella fase finale di un progetto di cui si parla da decenni e la cui realizzazione è legata alle paure per la stessa sopravvivenza della città lagunare dopo la disastrosa acqua alta del 4 novembre 1966, che aveva toccato i 194 centimetri sul medio mare. Se sul piano tecnico l’opera aveva mostrato la sua operatività, sul fronte delle cronache, prima della bufera giudiziaria di stamane con 35 arresti, attorno al suo nome si erano accesi i riflettori appena qualche mese prima, a luglio, quando erano finito agli arresti Giovanni Mazzacurati, allora presidente del Consorzio “Venezia Nuova”, concessionario unico per la realizzazione dell’opera chiamata a salvare Venezia e la laguna dalle acque alte. Una vicenda, seppure riguardante un appalto non direttamente inerente al Mose, che aveva comunque riportato l’attenzione su un’opera che fin dalle suo origini è stato motivo di dibattiti e accese polemiche. Il Mose, la serie di dighe mobili alle bocche di porto della laguna di Venezia e destinate a essere completate entro la fine del 2016, è l’opera più importante del vasto intervento in corso da anni per la salvaguardia di Venezia. L’intero sistema d’interventi, interamente “made in Italy” e che dall’opera principale nel tempo ha preso il nome, si muove non solo sul fronte ingegneristico, ma anche di recupero dell’ambiente e della morfologia lagunare. Prima dell’avvio delle prime sperimentazioni per quello che poi sarebbe diventato il sistema Mose, l’idea di realizzare un’pera alle bocche di porto contro le alte maree era stata motivo fin dalla metà degli anni ’70 di un ampio confronto a Venezia, ma anche nel mondo, vista la particolarità unica della città lagunare. Il 4 novembre 1966 la città lagunare aveva rischiato il disastro con l’acqua alta eccezionale che aveva toccato i 194 cm. sul medio mare. I finanziamenti da parte dello Stato per la realizzazione del sistema sono oltre il 90% e oltre 80% il lavoro fatto. Il costo complessivo è di 5,493 miliardi. Il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, al momento della prova delle paratoie mobile nell’ottobre scorso, aveva ricordato che il Sistema Mose è un’opera ritenuta prioritaria dallo Stato e indicato che «l’obiettivo tassativo è il completamento entro il 2016». Dopo gli arresti del luglio scorso, il neo presidente del Consorzio “Venezia Nuova”, Marco Fabris, aveva ricordato che la vicenda giudiziaria non poteva essere confusa con la realizzazione dell’opera. Il Dg Hermes Redi non aveva escluso azioni a difesa dell’immagine del Consorzio.

I nomi degli arrestati. I provvedimenti della Procura hanno portato in carcere Giovanni Artico (collaboratore di Renato Chisso), Stefano Boscolo Bacheto (titolare di una cooperativa di Chioggia specializzata in lavori subacquei), Gianfranco Contadin detto Flavio, Maria Teresa Brotto (ex amministratrice della società ingegneristica Thetis, ora nel consorzio Venezia Nuova), Enzo Casarin (capo della segreteria di Chisso), Gino Chiarini, Renato Chisso (assessore regionale alla mobilità e trasporti), Patrizio Cuccioletta (ex Magistrato alle Acque), Luigi Dal Borgo, Giuseppe Fasiol (funzionario regionale in Veneto Strade), Giancarlo Galan (richiesta parlamentare) Francesco Giordano, Vincenzo Manganaro, Manuele Marazzi, Giampietro Marchese (consigliere regionale del Pd), Alessandro Mazzi (presidente della Mazzi Scarl, con incarichi anche nel consorzio Venezia Nuova), Roberto Meneguzzo, Franco Morbiolo, Luciano Neri, Maria Giovanna Piva (ex Magistrato alle acque), Emilio Spaziante (generale in pensione della Guardia di Finanza), Federico Sutto (dipendente del ‘Venezia Nuovà), Stefano Tomarelli (componente consiglio direttivo Venezia Nuova), Paolo Venuti. Ai domiciliari sono stati posti Lino Brentan, Alessandro Cicero, Corrado Crialese, Nicola Falconi (direttore generale della Sitmar sub sc), Vittorio Giuseppone, Dario Lugato, Giorgio Orsoni (sindaco di Venezia), Andrea Rismondo (rappresentante legale della Selc sc), Lia Sartori (richiesta all’Europarlamento) Danilo Turato. a cura di Giovanni Profeta*

*Le fonti dell’articolo sono tratte da: Redazione ‘Gente Veneta’ e Gazzetta di Mantova

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome