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Suor Letizia, 101 anni e una vita in clausura: ‘Così salvai i libri dell’alluvione di Firenze’

Tenere per mano suor Letizia per i corridoi lucidi e silenziosi della Clausura delle Benedettine di Bitonto è il primo dei doni di questa giornata. Il cadenzare sicuro dei suoi passi, lo sguardo azzurro di chi è stato come svegliato dal primo frullo d’ali del mondo e ne è grato. Suor Letizia, 101 anni e due mesi, suora “dal 1940 del secolo scorso”, è in clausura da 76 anni.

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Le sue mani precise e veloci hanno rilegato migliaia di volumi nel laboratorio che custodisce il cinquecentesco monastero di Santa Maria delle Vergini, annesso a una chiesa che a sua volta è come una piccola galleria d’arte con opere di Paolo De Matteis, Gaspar Hovic, una tela attribuita a Paolo Veronese e le grate realizzate da Luigi Castellucci, una specie di archistar ottocentesca.

È qui che ci accoglie la madre badessa suor Maria Carmela, permettendo a suor Letizia di introdurci nella sua speciale ‘officina’ dove, assieme a torchi e macchinari, colpisce subito l’invito alle pareti: “Sorella ricorda: la mano al lavoro, il cuore tranquillo, l’anima in umiltà, l’occhio a Dio”. Senza esitazioni, mostra come si fa a rilegare un libro: “Se è vecchio va prima squinternato così e, poi, incollato, lasciato ad asciugare con i pesi, per questo ce ne sono tanti. Poi, si indorsa, si prepara la copertina di cartone, si mette la tela e la si incide”.

Il libro, idealmente tra le sue mani, è quasi pronto. Era il 1968 quando andò a imparare questo mestiere nel monastero delle Benedettine di Santa Maria a Rosano nel comune di Rignano sull’Arno. Firenze non a caso. “Da lì, dopo l’alluvione, ci arrivarono camion interi di volumi che lavammo dal fango prima di essere mandati all’abbazia di Noci per il restauro. Erano dappertutto “. Tantissimi.Con i libri sempre, suor Letizia. Anzi, fu proprio per darle una minima possibilità di studio in tempi non facilissimi per le donne che la sua famiglia, originaria di Gioia del Colle, decise di metterla nell’Istituto Margherita di Bari. E lì, la prima scintilla di vocazione.

“Vidi piangere, tutta rossa in viso, una suora che si era vista rifiutata dalla madre generale la richiesta di andare in missione e mi chiesi che genere di passione doveva essere questa da sconvolgere una persona così. Ma avevo dieci anni e non ci pensai più, fino a quando lessi la vita di Santa Teresina del Bambin Gesù e tutto mi fu più chiaro. Quando annunciai la decisione, mio padre non lo accettò subito, piangeva come un bimbo, mia madre era morta quando avevo quindici anni”.

Per questo quando fu consacrata suora, a Santa Scolastica a Bari: “A sorpresa mi imposero come nome suor Letizia, lo stesso di mia madre. Fu un regalo immenso”. Nata il 16 ottobre del 1915 l’anno della Prima guerra mondiale, da giovane suora ne affrontò anche una seconda, “vissuta in pieno, tanti ricordi, potrei scrivere un romanzo. Suonava la sirena e noi correvamo nel rifugio antiaereo a livello del refettorio, una notte suonò sei volte, non capivamo più se si trattava di una minaccia via terra o aria”.

Poi, si ammalò, subì una grave operazione e per riprendersi fu mandata a Villa Lenti, attigua all’abbazia di Noci, “per l’aria di bosco”. Ancora libri, tante letture, la patristica, le vite dei santi, quella del fondatore san Benedetto, di santa Elisabetta della Trinità e, alla fine, un nuovo convento, quello di Bitonto dove è rimasta fino a oggi a occuparsi della sua legatoria. Di qui sono passati i libri della soprintendenza, delle scuole e delle biblioteche “quando si sciupavano “, i registri del Comune. Con gli anni è diminuito il lavoro ma anche le suore che ora sono appena sette in tutto (mentre prima erano in cinque solo a occuparsi della legatoria), sono molto anziane e la più giovane, la trentaquattrenne suor Benedetta, viene dal Guatemala.

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C’è silenzio e ci sono piccole meraviglie che in pochissimi hanno visto: un ciclo pittorico di Carlo Rosa, uno straordinario Cristo medievale snodabile del Seicento che serviva per le sacre rappresentazioni, una campana del Settecento con i fiori fatti dal midollo di fichi. Ci sono opere

d’arte e c’è il suo sorriso vivo e giovane, che fa pensare alla perfetta letizia e alla perfezione di una scelta “felicissima, ogni giorno di tutti questi anni”. Dalle grate (dette anche ‘gelosìe’ perché proteggono i loro sguardi) suor Letizia s’affaccia sulla chiesa. A fatica si lascia fotografare. E quando lo fa, confessa: “Mentre ero in posa, ho pregato tutto il tempo per voi”. Ed è l’ultimo dono di questa giornata.




Redazione Papaboys (Fonte bari.repubblica.it/Antonella Gaeta)

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