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Sperare dopo Nizza

Sperare dopo NizzaStrana stagione di vita. I ventenni – come Marta Baggiani su Facebook – scrivono lettere in cui avvisano la mamma che moriranno in un attentato terroristico e che la loro resistenza sarà vivere; i cinquantenni cercano lavoro; i trentenni fanno gli stagisti; i quarantenni sono a contratto come apprendisti. Tutto questo avviene mentre le cronache ci raccontano la caccia ai terroristi tra una strage e l’altra, mentre rincorriamo visi e impronunciabili identità. Stiamo vivendo una guerra strana, la terza guerra mondiale l’ha chiamata il Papa. Senza divise, con solo uno dei due contendenti armato, che non ha zone di guerra da cui tenersi lontani, dove non è possibile sfollare, dove non c’è un nemico da identificare, nessuna divisa da cui nascondersi. Ti uccide un camionista qualsiasi, uno studente della borghesia ricca, un soldato di Allah vestito all’occidentale. Ti uccide uno qualunque.

Ma se viviamo così non resistiamo. Se viviamo così, non viviamo. Perché per vivere ci vuole aria nei polmoni e spirito nel cuore. Aria buona. Ossigeno. Spirito buono. Speranza. Ma per poter sperare devo tenere in mano qualcosa di quello che desidero, che spero. Si desidera solo ciò che si tiene in mano almeno per un lembo. Per resistere devo alzarmi la mattina un po’ vincitore. Per andare avanti devo conquistare un po’ di metri ogni giorno. Ho bisogno di trovare pagliuzze positive tra le travi di morte che mi vengono gettate contro.

Rileggo i giorni passati e mi scorrono in mente storie-pagliuzza. Lo scooterista che tenta di fermare il Tir a Nizza, morto per dare la vita a chi festeggiava accanto a lui. Il signore che prima di scappare ha gettato giù dal parapetto un gruppetto di ragazze paralizzate dalla paura. Tutte salve. Lui? Non si sa né il nome né se è in vita. L’uomo che ha fatto scudo alla moglie. La donna che ha spinto via il passeggino per non farlo schiacciare. Le infermiere che calmano i bambini che riempiono le barelle e i corridoi dell’albergo elegante, trasformato in pronto soccorso. Bambini senza nome e senza genitori. Le file di donatori anonimi. Non sapremo mai chi sono ma è assolutamente necessario ricordare la loro presenza tra noi.

Quando usciamo, entriamo in metro, varchiamo la porta di un’affollata chiesa giubilare, facciamo la spesa, guardiamo i fuochi di artificio, non dobbiamo pensare che in quella folla c’è solo chi può uccidere: lì c’è anche chi ci può salvare. Non siamo soli. Quando i nostri figli partono per Erasmus, lavoro, vacanze, non sono soli. Non esistono solo liste di persone sospette. Non esistono solo obiettivi sensibili. È la verità: non ci sono solo potenziali terroristi anonimi accanto a noi. Ci sono tante persone anonime pronte a dare la vita per noi. Facciamoci la nostra lista interiore di persone desiderabili. La lista speranza può e deve riempirsi.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da IlFaroDiRoma


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