Pubblicità
HomeNewsCorpus et SalusSono omosessuale e vi spiego perché la Chiesa Cattolica ha ragione: Intervista...

Sono omosessuale e vi spiego perché la Chiesa Cattolica ha ragione: Intervista a Philippe Ariño

philippeÈ tra gli iniziatori di Manif pour Tous, movimento di opposizione al “matrimonio per tutti” portato avanti dal governo francese. Ha scritto: «Io, omosessuale, vi spiego perché la Chiesa Cattolica ha ragione».

È tra gli iniziatori di Manif pour Tous, la “Manifestazione per tutti”, movimento di opposizione al “matrimonio per tutti” portato avanti dal governo di François Hollande. Ora scrive: «Io, omosessuale, vi spiego perché la Chiesa Cattolica ha ragione».

Francese, scrittore di successo, filosofo, cantante, blogger, critico d’arte, saggista, insegnante di spagnolo. Personalità eclettica ed affascinante, profonda, poliedrica e paradossale, Philippe Ariño, dentro una serena calma ed un’immagine di sé inoffensiva, dimostra una forza ed un’energia incontenibile, che interroga con semplicità evangelica chiunque lo incontri, di qualunque orientamento sessuale, politico o religioso sia.

Perché Philippe non nasconde la propria omosessualità, ma la pone in una luce completamente diversa rispetto agli stereotipi che la proposta LGTB sbandiera.

DN lo ha intervistato in esclusiva in occasione delle conferenze per presentare il suo nuovo libro: Omosessualità controcorrente – Vivere secondo la Chiesa ed essere felice, dell’editrice Effatà.

Da subito, ancor prima di iniziare l’intervista, ci tiene a precisare: «Io non sono “un omosessuale”. Omosessuale non è un sostantivo, ma un aggettivo. Sono un uomo, figlio di Dio, sono una persona con un’inclinazione, una tendenza, un desiderio omosessuale più o meno durevole».

Qual è la tua esperienza di vita?

Sono cresciuto in una famiglia cattolica, praticante e non ho mai abbandonato la fede. Ho scoperto la mia omosessualità all’età di 10 anni, e fino ai 29 anni non ho consumato rapporti omosessuali. Per due anni, dai 29 ai 31, ho avuto rapporti omosessuali, ma è dal gennaio 2011 che ho smesso e che ho deciso di vivere la castità.

Per me l’omosessualità non è una vergogna, ma piuttosto costituisce una paura della differenza dei sessi: dice che non mi sono pienamente accettato e che ho paura della sessualità. Questa paura ha lasciato una ferita dentro di me, che sembra difficilmente modificabile. Grazie a Dio e con Dio questa ferita riacquista senso: diventa una fessura attraverso la quale può passare la luce. È sorprendente! Di per sé una ferita non è bella, ma quando è attraversata dalla luce di Dio, si trasforma. Concretamente, si trasforma in amicizie estremamente forti, in consolazione che va oltre la condizione omosessuale, diventa dono per gli altri, ricchezza per tutti.

Hai vissuto per tanti anni nel mondo omosessuale e ora hai scelto la castità.

Io ho vissuto la mia omosessualità in modo differente. Non esiste soltanto la relazione di coppia, per vivere la propria omosessualità. Ho frequentato e ancora adesso frequento questo ambiente. Credo che questo mi consenta di parlare dell’omosessualità dall’interno. È una grande opportunità. Troppe volte si osserva da lontano, da un punto di vista psicoanalitico o religioso. In Francia abbiamo teologi moralisti veramente in gamba, ma il loro punto di vista è esterno. Adesso loro vengono da me e dicono: “Noi diciamo le stesse cose, in maniera differente”.

Il mio Dizionario dei simboli omosessuali è una novità assoluta. Ho scoperto la gioia di essere utilizzato da Gesù su un argomento così sensibile da punto di vista sociale ed esplosivo in ambito ecclesiale.

Qual è l’accoglienza che stai percependo? Ci sono molte paure e chiusure?

Ci sono i due estremi. Ci sono reazioni violentissime di rifiuto, di opposizione, e altre molto accoglienti. O la va o la spacca. Ma quando il mio messaggio passa, le persone si mettono completamente a nudo e mi dicono: «Tu mi hai raccontato tutta la mia vita senza conoscermi». Sono continuamente avvicinato da persone che dicono: «Anch’io ho avuto queste esperienze, anch’io sono stato violentato, ho vissuto determinate situazioni». Parlando con loro, mi accorgo della presenza di Dio che mi oltrepassa e che opera attraverso di me.


Questo nuovo Papa sta dando grandi aperture e riesce a parlare al mondo. Si potrà comunicare anche su questo argomento?

Sì, il problema è che il Papa non è da solo. Subisce pressioni dall’interno inimmaginabili. Già Benedetto XVI, che per me costituisce l’esperto numero uno in materia di morale sessuale, ha avuto difficoltà e ha sofferto molto. Certi uomini di Chiesa hanno paura dell’omosessualità, perché dietro c’è il problema della pratica omosessuale.

Il Papa ha fatto un grande passo già ammettendo l’esistenza del desiderio omosessuale. Adesso però deve spiegare che non giustifica le pratiche omosessuali. Parlando del rispetto delle persone omosessuali è stato frainteso, quasi giustificasse la pratica omosessuale. Altri invece hanno pensato che si stesse esponendo troppo. In realtà, non ha preso nessuna delle due posizioni. Semplicemente ha ribadito la dignità della persona.

Ti senti parte della Chiesa e dici che non puoi farne a meno.

Più che cristiano, mi sento cattolico. Se assumo un comportamento che mi allontana dalla Chiesa, mi sento triste. Nel mondo LGTB venivo considerato e ricercato per le mie pratiche. Ora loro mi aggrediscono e mi minacciano. Nella Chiesa sono stato accolto come persona. Ecco perché credo che la Chiesa sia la verità. E non ho detto gli “uomini di chiesa”. Ma la Chiesa è la verità.

Dici che si deve rispettare la persona, senza giudicarla, ma le pratiche, la banalizzazione degli atti omosessuali vanno valutate?

Bisogna ricordare in che cosa consista il comportamento omosessuale. È un rifiuto della differenza dei sessi, mentre l’amore costituisce un’accoglienza delle differenze, quindi non si può dire che rifiutare la differenza dei sessi sia amore. Per amare bisogna riconoscere la diversità, non annullarla. L’atto omosessuale in sé è violento.


Le associazione LGTB bollano subito come omofobo chiunque non aderisca alla loro ideologia. Che significato dai alla parola omofobia?

L’omofobia non è costituita da qualsiasi critica nei confronti del desiderio omosessuale. Il fatto di avere desideri omosessuali non giustifica ogni nostro comportamento. C’è un’omofobia fatta di aggressione, di insulti, di violenza, ma è omofobia anche il coming out, perché è una caricatura, un atto di violenza nei confronti delle proprie pulsioni sessuali.

La vera omofobia è rifiutare la differenza dei sessi da cui ciascuno di noi è nato. Nasce dall’atto omosessuale e si vede in tutti i contesti, sia nelle relazioni affettive che negli ambienti della prostituzione. Io non conosco aggressori di persone omosessuali che non siano omosessuali. Almeno 90 miei amici sono stati violentati. Il discorso mediatico ha banalizzato le problematiche dell’omosessualità. È semplicemente ridicolo.

Tu proponi uno stile di vita forte, di castità e continenza. Non è troppo difficile?

È difficile soltanto per quelli che non ci provano. Ci dicono che senza la genitalità, senza la vita di coppia, senza la pornografia saremmo infelici, ma è una bugia e vale per tutti gli esseri umani. Quello che è veramente difficile è non vivere la continenza. La vera frustrazione io la vedo nei libertini. Le persone libere sono coloro che padroneggiano le proprie pulsioni e questo si vede chiaramente sia nelle coppie uomo-donna che si amano, sia in alcuni consacrati. Gesù dice: «Il mio giogo è leggero». Io credo che molte persone omosessuali a riguardo della continenza gridano e piangono prima ancora di aver sentito male.

Un messaggio da mandare ai giovani di oggi?

Invece di assalirci, accogliete le persone che hanno un’attrazione per lo stesso sesso. Incontrateci, cercate di comprendere quello che noi effettivamente viviamo, perché al momento la stragrande maggioranza di voi ci ignora. Credete forse che lottando contro l’omofobia, voi ci conosciate? Vado sempre nelle scuole in Francia a parlare e dietro a tanti applausi, spesso c’è l’ipocrisia. Non conoscete quello che è veramente l’omofobia e negate le nostre sofferenze, per così dire “per il nostro bene”. Quindi, venite a conoscere quello che siamo veramente.


Intervista realizzata da Valter Rossi

7 COMMENTI

  1. Questo articolo è pericoloso e mi fa paura il fatto che nessuno se ne accorga. Mi metto nei panni di un qualsiasi adolescente gay cattolico, frequentante una qualsiasi associazione cattolica locale (dall’ACR agli scout). Questo ragazzo sta affrontando ora il difficile periodo dell’accettazione di se e i messaggi che riceve dalla famiglia della quale si sente parte (la chiesa) sono discordanti da quello che egli sente. Messaggi che lo fanno sentire sbagliato e non del tutto OK. Poi un giorno quel ragazzo legge un articolo come questo, dove gli viene suggerito che l’omosessualità è una ferita, dove si parla di paura di quello che si è, dove si parla di “pratica omosessuale” (qualsiasi essa sia) come di violenza. Io ero quel ragazzo, scout che praticamente viveva in e per la chiesa. Ed è anche per quei messaggi che ricevevo che ho dovuto aspettare l’età di 30 anni per poter dire di essere finalmente in pace con me stesso e con chi sono. Ma fino ai 30 anni non è stato facile, soprattutto se si aggiunge il bullismo adolescenziale di cui si può essere vittime nella periferia sud di una città come Roma. Sì, anche all’interno degli stessi ambienti ecclesiastici. Sono anche quei messaggi che ricevevo che un giorno, all’età di 16 anni, mi portarono a pensare di farla finita con una lametta. Ora ringrazio dio che quel gioco stupido non abbia funzionato perchè altrimenti mi sarei perso tanta, tanta felicità che la vita di porta. Anche se si è gay, si ama un uomo e non si ha paura di farlo.

    Questo articolo è pericolo per tutti quei ragazzi e l’unica ferita che oggi ha riaperto in me non è quella dell’essere gay, ma quella data dalla sofferenza che quei ragazzi potrebbero provare nel leggere le parole di Phillip. Vorrei che essi, dopo aver letto il suo articolo, possano leggere anche il mio
    http://acrossthechannel.org/2014/11/01/lettera-aperta-in-risposta-allintervista-a-philippe-arino/

    • Non avere paura delle idee diverse dalle tue. Come vedi abbiamo approvato il commento per poter leggere anche la tua riflessione. Non la condividiamo ma la rendiamo leggibile! 🙂 Santa domenica

  2. Grazie! apprezzo molto che abbiate approvato il mio commento 🙂

    Comunque la paura non è tanto la mia nei confronti delle idee diverse dalla mia. Figurati, è una vita che ci convivo. La paura è la reazione che queste parole potrebbero avere su persone deboli. Soprattutto, cito “Per me l’omosessualità non è una vergogna, ma piuttosto costituisce una paura della differenza dei sessi”. Questo non l’ho detto io 🙂

  3. Non riesco a pensare ad un Dio talmente sadico da scrivere nel cuore di alcune persone il progetto di un amore con una persona del proprio stesso sesso, e da chiedere loro poi di rinunciare a questo progetto. E siccome credo in un Dio perfetto, sono convinto che ci sia qualcosa di imperfetto nella sua Chiesa terrena. Sarebbe ora che quest’ultima trovasse metodi diversi (e anche più efficaci) per reprimere certe situazioni che si creano tra le mura di seminari, conventi e monasteri. Metodi che non richiedano un martirio di massa delle coscienze di chi è fuori da questi edifici.

  4. Ho letto molti commenti e noto con una certa tristezza come ci sia una enorme difficoltà ad accettare il pensiero di chi vede le cose in modo diverso, in questo caso Philippe, e come questa difficoltà si traduca spesso in rabbia ed aggressività soprattutto da parte di chi chiede di essere compreso nel suo modo di pensare.Chiedere alle persone di non difendere le proprie idee mi sembra sinceramente qualcosa di poco democratico e liberale. in nome delle libertà non si può impedire a nessuno di esprimere il suo punto di vista. C’è solo dell’arroganza nel voler chiudere la bocca a chi la pensa diversamente. Chi non condivide Manif pour Tous,ha la possibilità di argomentare le sue ragioni e se queste risulteranno più convincenti troveranno il consenso della maggioranza o meglio ancora di politici che devono legiferare. Io da cittadino obbedisco alle leggi dello Stato ma rivendico il diritto di esprimere il mio pensiero sempre e ovunque così come lo riconosco agli altri. Per quanto riguarda la castità, io che ho vissuto quella coniugale al fine di potermi comunicare nonostante il mio status di divorziato, devo dire che è una scelta sostenibile se è libera scelta, in caso contrario sarebbe una sofferenza che può mettere in crisi una relazione. Ciò che mi ha stupito durante il mio vivere la castità è l’accanirsi contro la mia scelta da parte di chi era divorziato come me. Tutti volevano convincermi a rinunciare alla scelta. Eppure io non impedivo certo loro di vivere come volevano la loro sessualità. Ma allora perchè volevano convincermi che la mia scelta era sbagliata? Per averne quale tornaconto? Perchè vivere la castità fa così paura?

  5. Quello che più mi ha colpito di Philippe Arino è il suo dichiarare apertamente di poter vivere in castità, ovvero che l’amore può convivere felicemente con essa.La mentalità comune non approva? Si capisce, ma la strada di ciascuno è il suo nome segreto.Anche io non avrei “capito” se l’esperienza,pur nel matrimonio e nella maternità,non mi avesse fatto conoscere anche questo aspetto dell’amore coniugale.Quanto alla ferita…la conoscenza dell’uomo, l’esperienza dell’anima, avviene attraverso il dolore,sì, anche attraverso la felicità…ma la condizione umana è sempre molto difficile.

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome