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Siria, il piano di Papa Francesco per fermare la catastrofe sanitaria

CITTÀ DEL VATICANO – È una corsa contro il tempo per evitare la catastrofe sanitaria. Il Vaticano, attraverso il Policlinico Gemelli, si sta mobilitando per aiutare massicciamente tre ospedali cattolici in Siria, uno ad Aleppo e due a Damasco. Si tratta di un enorme piano umanitario studiato con la collaborazione del Pontificio Consiglio Cor Unum, la supervisione del cardinale Zenari, nunzio apostolico in Siria e la presenza in loco dell’Avsi. La maxi operazione prevede lo stanziamento diretto di fondi e la realizzazione di diverse iniziative di formazione medica del personale sanitario.

La crisi siriana sembra non conoscere fine con 13,5 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti e 11,5 milioni che non hanno accesso alle cure sanitarie (2.237.750 solo ad Aleppo, 1066.261 a Damasco). Il 40% è costituito da bambini. L’aspettativa di vita in Siria si è ridotta di circa 15 e 10 anni, rispettivamente per uomini e donne. Ospedali bombardati, strutture depredate, ambulatori rasi al suolo, personale medico fuggito, medicinali acquistabili solo al mercato nero, strumenti inutilizzabili, assenza di aiuti. Solo per fare un esempio: da oltre due mesi all’ospedale cattolico Saint Louis di Aleppo manca l’acqua potabile, e da cinque la struttura è alimentata a gasolio che spesso non basta o è troppo costoso. C’è il pericolo di epidemie. Assieme al Saint Louis il piano umanitario per gli ospedali approvato da Papa Francesco include anche l’ospedale francese e l’ospedale italiano di Damasco.

La Fondazione Gemelli partecipa all’operazione ”Ospedali Aperti” in Siria attraverso lo stanziamento diretto di fondi, e iniziative di formazione del personale e di cura della popolazione. La fornitura gratuita delle prestazioni sarà garantita da un basket fund alla cui creazione la Fondazione partecipa sia in forma diretta sia indirettamente attraverso l’attrazione di nuovi donatori.

In Siria è in corso dal 2011 un conflitto che ha provocato quella che l’UNHCR, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha definito «la più grande crisi umanitaria della nostra era».

L’agenzia dell’Onu ha stimato che i siriani coinvolti dall’emergenza umanitaria siano ormai 13,5 milioni, 6 milioni dei quali sono bambini. Gran parte di loro, quasi 9 milioni di persone, vive in condizione di insicurezza alimentare, senza adeguato accesso a un’alimentazione anche soltanto basilare.

Solo ad Aleppo sono oltre 2,2 milioni le persone senza possibilità di accedere alle cure mediche, mentre circa un milione sono nella stessa condizione nella capitale Damasco. Si stima che in tutto il paese il 58% degli ospedali pubblici e il 49% dei centri sanitari pubblici siano chiusi oppure solo parzialmente funzionanti e che più di 658 persone che lavoravano in queste strutture siano rimaste uccise dall’inizio della crisi.

A causa dell’emigrazione massiccia che ha coinvolto la popolazione siriana in questi anni, il numero di specialisti rimasti negli ospedali è oggi insufficiente a far fronte alle richieste di cura. Secondo alcune stime, è ancora attivo nel Paese solo il 45% del personale sanitario che lavorava in Siria prima dell’inizio della crisi.

La mancanza di ostetriche, per citare solo un esempio tra i tanti, è un risvolto drammatico di questa emergenza: oggi si contano circa 300.000 donne incinte non in grado di ricevere cure adeguate.

Molte industrie farmaceutiche e centri di stoccaggio per le medicine sono stati distrutti e le infrastrutture non colpite hanno tuttavia smesso di funzionare con regolarità a causa della grave carenza di risorse umane specializzate e di materie prime.

La mancanza di medicinali e di apparecchiature mediche funzionanti colpisce tutte le fasce di popolazione, e in particolare mette a rischio la salute, e in alcuni casi la vita, delle persone affette da malattie croniche, che hanno bisogno di terapie continue.

Le sanzioni alla Siria – spiega il cardinale Zenari – non fanno che aggravare lo stato delle cose. Le limitazioni non riguarderebbero formalmente gli aiuti umanitari, ma di fatto l’embargo complica l’importazione di medicinali e di pezzi di ricambio per i macchinari medici. Dato il double use (sanitario e militare) che potrebbero avere, vengono bloccati.






Le gravi condizioni in cui si trovano i servizi sanitari di base, la difficoltà di accesso all’acqua, all’energia e ai servizi igienici rendono elevata la possibilità dello scoppio di epidemie legate all’acqua.

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