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Se vedo Dio è grazie a questi figli

Originaria di Carpi, suor Maria Angela Bertelli ha scelto di vivere in baraccopoli a Bangkok insieme alle donne rimaste sole con un figlio disabile. E ha scritto un libro su di loro

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«Lo dico sempre ai miei amici preti: per tirar su una struttura in missione basta un anno, per far crescere una chiesa fatta di pietre vive ci può volere una vita intera». Ne sa qualcosa di “pietre vive”, suor Maria Angela Bertelli, 56 anni, missionaria a Bangkok, in Thailandia. Ne ha appena raccontato le storie in un libro (La casa degli angeli, Itaca): sono le mamme di bambini disabili che ha incontrato lavorando nelle baraccopoli della grande città asiatica, donne che, non si sa bene perché, hanno deciso di non abbandonare un figlio ritenuto una disgrazia e frutto di una colpa.

Che un figlio con disabilità sia una sfortuna, o quantomeno un problema, è un’idea comune a molte culture, ognuna con la propria specificità. «Nel buddhismo theravada praticato in Thailandia la disabilità viene percepita dai più come frutto del karma», spiega suor Angela. «Ovvero: ti sei comportato male in una vita precedente e questa è la giusta punizione. La colpa può essere del bambino oppure di sua madre, in ogni caso entrambi sono evitati  e tenuti a distanza. I mariti stessi di queste donne spesso se ne vanno lasciandole senza alcun appoggio».

È nata per questo la Casa degli angeli che, nella parrocchia di Nostra Signora della Misericordia, dal 2008 ospita una ventina di mamme con i loro bambini disabili. «Posso dire che sta diventando pian piano una comunità viva perché cresciamo insieme, e soprattutto perché io stessa tra queste donne e i loro bimbi sperimento in modo molto concreto e reale Gesù vivo e il suo amore», afferma la religiosa. Eppure, l’inizio di questa opera non è stato facile. Così come non lo è stata la vita da missionaria di suor Maria Angela.

Originaria di Carpi, a 22 anni entra nella congregazione delle Missionarie di Maria (Saveriane) di Parma. Dopo i voti viene inviata a New York per imparare l’inglese e per frequentare un corso da fisioterapista: vive ad Harlem dove – anche se non è lì per questo – si dà da fare per i giovani che incontra nelle strade del quartiere.



Poi la prima destinazione in Sierra Leone, nel ’93. È nel Paese africano da due anni quando viene rapita insieme a sei consorelle dai guerriglieri del Ruf (Fronte unito rivoluzionario). La rilasciano dopo 56 giorni di prigionia.

«Noi suore non subimmo tanto violenze di tipo fisico quanto di tipo psicologico», racconta oggi, «ma non potrò mai dimenticare gli orrori visti in quei giorni. Ho conosciuto il mistero del male, di come Satana può prendere dimora del cuore dell’uomo facendogli compiere atti che non sono più nemmeno a misura d’uomo». Dopo questa vicenda, la congregazione decide di inviarla lontano, all’altro capo del mondo: in Thailandia. «Ero a Bangkok da un anno, quando ho attraversato una grossa crisi», racconta. «Mi sentivo trenta metri sotto terra. Forse in quel momento è uscito anche tutto lo stress che avevo tenuto a bada dopo il rapimento, ma sentivo anche un’inquietudine sul modo di vivere la missione. Chiesi alla mia comunità di poter lasciare la casa in cui mi trovavo con le mie consorelle per andare a vivere da sola in baraccopoli. Fu uno strappo doloroso, ma in seguito mi è diventato sempre più chiaro che il Signore mi stava accompagnando su una nuova strada, e con il tempo si sono ricuciti i rapporti anche con chi all’inizio non aveva approvato la mia scelta».

In baraccopoli lavora già un missionario italiano del Pime, padre Adriano Pelosin, che chiede a suor Angela di occuparsi prima degli ammalati di Aids e poi dei bambini disabili e delle loro mamme, i più deboli fra i deboli dello slum. «La Casa degli angeli non è nata da una mia idea», precisa suor Maria Angela, «ma dall’iniziativa di due fidanzati, Federica e Cristiano, venuti a trovarci nel 2005. Vedendo quello che facevamo proposero di creare un luogo di accoglienza per curare in modo adeguato i bambini disabili e sottoposero il progetto alla Caritas di Venezia che accettò di finanziarlo».



Oggi la Casa degli angeli è diventata una famiglia per donne che non avrebbero potuto provvedere da sole a questi figli dalle esigenze speciali. «Vivere accanto a queste donne è una grazia enorme», confida suor Maria Angela, «perché mi fa sperimentare la gioia di vedere all’opera Gesù nelle loro vite, in mezzo a progressi e sconfitte, ma comunque sulla strada verso un bene maggiore. Per questo, per quello che vedo ogni giorno, dico che non è un’opera nostra ma di Dio».

La soddisfazione più grande? Quando una delle mamme, Lek, ha detto di suo figlio disabile psichico: «Tam è una grazia per me. È un dono di Dio per me». Per questo suor Maria Angela ha deciso di scrivere un libro in cui racconta le vicende di queste donne: «Non sono una scrittrice, ma non potevo tenere questa ricchezza solo per me».

È difficile trovare nella stessa persona azione e contemplazione. Forse per quello che ha vissuto, suor Maria Angela riesce a comunicare questa unità. «Sa qual è il momento in cui prego meglio? Quando sono in motorino in mezzo al traffico di Bangkok, magari per un’ora. Non posso perdere la concentrazione e allora ne approfitto per pregare. Ripercorro insieme al Signore i problemi delle donne della Casa degli angeli, e affido tutto a lui».

Testo di Emanuela Citterio per la rivista ‘Credere’ 

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