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Se ti parlassi di una …. perfetta letizia! (seconda parte)

Storie di gente scontenta – Scorrendo le pagine della Scrittura ci imbattiamo in molta gente scontenta. Consideriamo alcune vicende per cogliere se esistono in noi particolari che vediamo in quegli avvenimenti biblici.

Fin dalle prime pagine della Genesi troviamo il celebre misfatto di Caino ai danni del fratello Abele. Tutto nasce dalla constatazione di una sconfitta: i doni di Caino non sono accetti al Signore come quelli di Abele. Nasce un abbattimento interiore nell’animo di Caino, che giungerà più tardi al gesto inconsulto del fratricidio.

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.

Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. lì Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradi Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. lì Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso dite è il suo istinto, ma tu dominalo».

(Genesi 4, 1-7)

 

Ecco un altro brano, preludio di un nuovo fratricidio, non consumato in senso materiale ma certamente perpetrato in senso spirituale.

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti  i  suoi  figli,  lo  odiavano  e  non  potevano parlargli amichevolmente. (…) I suoi fratelli andarono a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro». Gli rispose: «Eccomi!». (…) Allora Giuseppe andò in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono di farlo morire. Si dissero l’un l’altro: «Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: Una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». (Genesi 37)

Infine, un terzo brano: anche qui si tratta di fratelli ed anche qui sul rapporto fraterno cala la pesante ombra dell’indifferenza, una sorte di morte affettiva e spirituale:

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. lì servo gli rispose: E tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. (Luca 15, 25-28)

Accostando i tre episodi come punti fermi della nostra considerazione, vediamo quali sono le note comuni che possono avere uno spessore universale e che, superando le singole circostanze, rivelano un significato utile anche per noi.

C’è un padre che sembra fare preferenze per un figlio, sembra amarne uno più di tutti altri. Nel caso di Caino ed Abele il padre è Dio, per Giuseppe e i fratelli si tratta di Giacobbe, nella parabola del Padre misericordioso è un padre di famiglia, non meglio identificato.

Nei tre episodi i fratelli vogliono quantificare l’amore del Padre per loro ed arrivano alla conclusione che il Padre per essere giusto dovrebbe amare di meno gli altri. In particolare, tra Caino e Abele la quantificazione passa attraverso la presunta superiorità spirituale di una civiltà nomade e dedita alla pastorizia rispetto ad una sedentaria dedita all’agricoltura. Nel caso di Giuseppe e i suoi fratelli il contenzioso ruota attraverso i diritti di primogenitura. Nel terzo ed ultimo caso si tratta non solo di primogenitura ma anche di merito lavorativo.

In tutte e tre i casi il criterio del merito si dimostra non sufficiente a giustificare e moralizzare gli atti che esso esige. Il criterio della quantificazione della giustizia, infatti, è il merito e la sua unità di misura è la legge, ovvero l’insieme dei diritti e doveri che una società si è data, anche partendo da principi sacrosanti di equità e di organizzazione.

I fatti divengono paradossali ed inquietanti agli occhi del lettore che si rende conto che ciò che la dottrina del merito reputa giusto e morale, risulta, invece, ingiusto o addirittura violento, se è considerato in una visione sapienziale, libera da compromessi, interessi e animosità.

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Noi non vogliamo, però, addentrarci in considerazioni di questo tipo, che sposterebbero la nostra attenzione sul piano dell’etica e della giustizia. Tornando al tema della gioia, a noi interessa considerare come la conseguenza di una tale visione delle relazioni è l’infelicità, un’infelicità cosi acuta da arrivare al sottile e perverso ragionamento di sopprimere il fratello amato dal padre per sopprimere l’infelicità. In una tale concezione, la gioia sarebbe ripristinata non tanto attraverso la valorizzazione delle giuste relazioni quanto dalla loro soppressione.

É una giustizia che non si regge sul bene ma sull’interesse e si realizza attraverso il fratricidio. Quest’ultimo non è sempre cruento. Spesso è perpetrato creando terra bruciata intorno al fratello troppo amato, recidendo intorno a lui tutti i legami d’amore che lo fanno sentire vivo (cfr.mobbing, ministeri ad personam, chiusura nei ruoli).

di padre Francesco, OMI

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